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Silvia Romano, dal rapimento al rilascio

E’ arrivata venerdì 8 maggio presso l’ambasciata italiana a Mogadiscio, ha chiesto una pizza per quello che è stato il suo primo desiderio dopo la liberazione. Sono stati questi gli ultimi momenti in terra somala di Silvia Romano, la 23enne che lavorava come cooperante in Kenya per la onlus marchigiana Africa Milele, rapita il 20 novembre del 2018.
Era una sera piovosa di fino novembre quando Silvia Romano fu rapita da tre uomini prima di essere poi riconsegnata ad un gruppetto di altre tre persone, i veri mandanti del rapimento. Da li, la giovane italiana ha iniziato insieme ai rapitori un lungo viaggio, prima in moto e poi a piedi – anche attraversando un fiume – fino alla Somalia, fino all’operazione dell’Aise, diretta dal generale Luciano Carta, che è stata condotta con la collaborazione dei servizi turchi e somali ed è scattata la notte precedente alla liberazione, in una operazione avvenuta in una zona colpita negli ultimi giorni dalle alluvioni.

Ad una psicologa italiana, durante il volo che l’ha riportata sabato 9 maggio in Italia, Silvia Romano ha parlato della sua prigionia. Il primo mese, è stato il più duro. Piano piano, poi, la giovane ha ricevuto rassicurazioni sulla sua vita, ha chiesto un Corano ed un quaderno – che gli è poi stato tolto qualche ora prima della liberazione – ed ha raccontato della sua conversione all’Islam, cosa poi confermata nelle ore successiva con l’avanzare delle indagini.

Una volta arrivata a Ciampino, con indosso guanti, mascherina e vesti islamiche, la giovane cooperante ha abbracciato i suo genitori ed è stata accolta da una delegazione militare e politica prima di essere poi intervistata dal pm per oltre quattro ore.

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