Ravida Resort: semplicità e ricercatezza per una stagionalità nel piatto
Il Ravida Resort di Pompei, gestito da Anna Talamo e Raffaele Vingiani, event manager anche di altre quattro location nell’area pompeiana – rivela di essere un punto di riferimento per la ricettività e gli eventi, da quelli di charme a quelli maggiormente informali.
Tutto è stato studiato nei minimi dettagli per offrire un’esperienza di comfort, eleganza e ricercatezza, non abdicando alla semplicità.
La struttura è dotata di una sala grande per gli eventi di più ampia portata e di uno spazio intermedio per le occasioni più raccolte e intime, prospiciente il giardino. Un’ area pizzeria completa l’offerta. Inoltre la struttura gode di un ampio parcheggio interno. Il protagonista di questa esperienza del gusto è lo chef Giuseppe Auricchio che approda al Ravida Resort dopo un’esperienza internazionale presso diversi ristoranti, coadiuvato dalla sua brigata di cucina e supportato da un personale di sala molto preparato e accogliente. Tutto parla cura del particolare e senso di ospitalità, atti ad assicurare un’esperienza di elevatissima qualità.
Si comincia con una fetta di panino napoletano e con un un trittico, composto da una montanarina alla genovese; un carciofo viola di Castellammare, detto di Schito, e un minibug farcito con un un moscardino affogato.
Come sottolineano gli addetti ai lavori, la genovese sigla l’alleanza tra tre territori Slow Food. Come sappiamo, lo scopo dei presidi Slow Food è quello di preservare alcune varietà che siano in via d’estinzione, riproponendone la coltivazione e il consumo, ma anche quello di rilanciare e valorizzare gli antichi mestieri, che sono l’anima dei territori.
I tre territori Slow Food gemellati sono Alife, nel casertano, Airola nel beneventano e Vatolla nel Cilento.
Il carciofo dolce viene coltivato in questa frazione territoriale dai contadini secondo l’antico metodo della coltivazione sotto anfore di coccio capovolte.
Si passa poi all’antipasto che è caratterizzato da un salmone selvaggio d’Alaska, insaporito sempre dal carciofo di Schito in olio, salsa in erborinato e zeste di limone e da un mix di frutti di bosco.
“In questo caso – spiega lo chef – non abbiamo un alimento tipico di questo territorio, ma abbiamo comunque una territorializzazione delle tecniche di conservazione, attraverso il ricorso a una marinatura a base di zucchero e sale, che serve ad esaltare Il sapore del salmone, ma anche a eliminare parte dell’acqua di vegetazione. Il gusto è reso ancora più intesto dal contrasto tra l’acidulo degli agrumi e il dolce dei frutti di bosco“. Il tutto è arricchito dai semi di sesamo.
Come accompagnamento una focaccina cotta sulla cenere direttamente sui carboni – la cui tecnica di cottura ancestrale rinvia all’antico panis romano – realizzata con farina macinata a pietra e con un impasto ad elevata idratazione al 70 per cento. Il gusto, quindi, gode di questa doppia affumicatura: una proviene dal panificato e l’altra dal salmone.
Il primo piatto è un classico mare e monti rivistato. Un raviolo con la pasta tirata a mano, adagiato nel fumetto di verdurine e acqua delle vongole, estratta dalla sacca del frutto di mare, arricchito con un carpaccio di branzino alla fiamma e una dadolata di branzino.
“La pasta – continua Auricchio – è tirata a mano in senso verticale e orizzontale in maniera tale da renderla particolarmente ruvida e callosa per non far uscire il ripieno di stracciata di bufala. La mia cucina è antispreco. Utilizzo sia il tuorlo sia l’albume nelle giuste proporzioni. Si tratta di un piatto apparentemente semplice, ma complesso per le modalità di preparazione. La nostra sfida, non sempre semplice, è valorizzare il territorio e favorire la ricerca del prodotto stagionale nel piatto“.
Ne nasce un piatto delicatissimo e gustoso, frutto della tradizione innovata nel senso più originale.
Ulteriore nota d’onore i panificati: grissini realizzati hand made e un pane bao, ad alta idratazione, bollito al vapore e agrumato con zeste al limone.
Lo chef Auricchio ha portato con sè al Ravida tutta l’esperienza accumulata durante la sua esperienza pluridecennale in resort sparsi in giro per il mondo e anche la sua fame di conoscenza che l’ha condotto a sperimentare diversi abbinamenti anche inusuali.
Ne è nata una cucina, frutto dell’applicazione della scienza, ma anche intrisa di emozioni. Un viaggio sensoriale che non dimentica le radici familiari di nonna Teresa.
Finora i piatti sono stati accompagnati da un prosecco Sant’Orsola e da vini bianchi del 2022: un Greco di Tufo DOCG Vigna Cicogna delle Cantine Benito Ferrara e un Devon delle Cantine Antonio Caggiano.
Per il secondo a base di carne si opta per una mescita di vino rosso, un Primitivo di Manduria dop Papale, pronta ad accompagnare un mix di carni di pollo cotte a varie temperature.
Una sfera fritta realizzata con la carne estratta dalle alette, riassemblata a costituire una “bomboniera” di sapore, resa croccante dalla panatura di corn flakes. Un ossicino funge da spiedino. Si continua con una coscia destrutturata, cotta direttamente sui carboni e resa succosa dalla farcia alla cacciatora con pomodorino aromatizzato al timo. Questo tris è completato da un petto cotto a bassa temperatura. Una modalità di preparazione e di presentazione che consente di mangiare con facilità ogni pezzetto di ogni parte, senza imbarcarsi in movimenti arzigogolati e mani unte che, seppur veraci e assolutamente consentiti dal galateo, potrebbero risultare poco comodi.
“La temperatura – evidenzia Giuseppe – non supera i 69 gradi perché se arrivasse a 71 le proteine si coagulerebbero, rendendo la carne particolarmente stopposa. Si tratta di un piatto tipico della cucina francese, caratterizzato da una cottura prolungata“.
Come accompagnamento, un pane ai cereali realizzato per il 30% con una farina molto corposa di ceci, lievitata oltre 24 ore. L’esterno è ricoperto di semi di girasole e di sesamo.
Si conclude in bellezza con un pre dessert e un dessert: una tartelletta di mandorle alle fragoline di bosco e lemon curd, sormontata da una coroncina di piccole meringhe bruciate e una mousse alla nocciola adagiata su un crumble di cacao, aromatizzato al rum, completato da mini meringhe, che a sua volta riposa su uno strato di cioccolato e fiori eduli.
Una cucina tipica della tradizione che non disdegna la vera innovazione, in accordo con la filosofia dell’associazione gastronomica francese Chaine des Rotisseurs – di cui è decano il giornalista partenopeo Harry Di Prisco – nata ai tempi del re Luigi IX e ricostituita negli anni ’50. Oggi comprende circa 25.000 soci di 70 nazionalità e mette al centro il gemellaggio tra i sapori e l’amicizia tra le nazioni. Il leitmotiv è la possibilità di divertirsi, operando dei cambiamenti e degli accostamenti di saperi e sapori arditi, innestati sulla tradizione.
Bon appetit o per meglio dire: “Buon divertimento!”.
Ph Pino De Pascale e Renato Aiello (courtesy in particolare per le foto dei vini ed alcuni dettagli caratterizzanti)