Perché Geolier non è un professore ma un testimone
Ultime battute sul caso Geolier.
Infatti, ci sono fenomeni più importanti, di cui sarebbe possibile e opportuno parlare in maniera più approfondita, come per esempio la censura, da una parte, e il diritto di parola e di espressione, che è sancito dalla nostra Costituzione, dall’altra, con esempi virtuosi di coraggio tra i giovani.
Un diritto che va al di là del colore e dello schieramento politico, laddove è opportuno ricordare che fare politica vuol dire, in senso più ampio, fare la propria parte sia a livello istituzionale sia come privato cittadino per rendere il contesto di riferimento migliore, più vivibile, più equo per tutti.
Detto ció, è evidente ci sia stata un’alzata di scudi contro la medaglia conferita dal sindaco al giovane trapper e contro l’invito a parlare all’università.
Permane, dunque, il vedere l’università come una torre d’avorio del sapere, dove soltanto chi ha determinati requisiti può entrare.
In tal senso, Geolier non è un professore, non farà una carriera universitaria, non è stato chiamato a insegnare ma, in senso più ampio, a portare la propria testimonianza – e di testimonianze i ragazzi hanno bisogno, perché con le periferie e con le vite che in esse sono inserite, bisogna entrarci in contatto. Non è utile parlarne dall’alto, animati sostanzialmente da una non conoscenza e da un’esperienza di seconda mano, trapelata da libri e ricerche.
Tra l’altro, molti non tengono conto del fatto che seppur partito da concetti e atteggiamenti deprecabili, alla fine c’è stato un processo evolutivo, di coscientizzazione, di presa di consapevolezza e/o comunque di distacco da una certa forma di pensiero.
Un pensiero che apparteneva a una fase della vita in cui negli adolescenti prevale il bisogno di riconoscimento da parte di un gruppo, di un territorio, o comunque la necessità di non essere considerato un marginale.
E’ davvero interessante ciò che ha scritto in proposito il collega e amico Antonio Menna in merito al fatto che alcune canzoni e generi raccontino un contesto, ma questo non vuol dire che l’autore si identifichi in prima persona con un certo sistema di pensiero tout court e ne sia connivente.
Proprio per questo si rischia di incorrerere nella cosiddetta relazione spuria, vale a dire un’induzione fallace, dove si identifica la causa principale di un fenomeno in una certa caratteristica di un soggetto, ma in realtà la stessa è solo un presupposto.
Il problema forse non sta nel fatto che Geolier non meriti di avere accesso alle aule universitarie, bensì i colli di bottiglia e le ataviche resistenze che impediscono o rallentano tale ingresso a persone qualificate che avrebbero tanto da dire, a loro volta.
Si palesa un altro problema: quello della notorietà, perché siamo tutti strumenti di un sistema distorto che esprime un interesse particolaristico e in quanto tale veniamo strumentalizzati periodicamente a suo esclusivo uso e consumo.
Siamo utili in uno specifico momento, ma inevitabilmente di passaggio, altresì passeggeri di un carrozzone mediatico e comunicativo.
Quindi, quello che fa la differenza è il poter essere mostrati. L’ essere mostruosi, non nel senso di orribili, ma in quello di sufficientemente evidenti, tali da fare abbastanza scalpore. Dei contemporanei fenomeni da baraccone.
Coloro che si stanno indignando forse dovrebbero ripensare al senso e al ruolo dell’intellettuale che non è – o meglio non è solo – colui che sa parlare in maniera concettualmente ineccepibile e possiede una maggiore levatura a livello conoscitivo che lo pone idealmente al di sopra degli altri, ma è soprattutto colui che dimostra di avere la capacità di padroneggiare strumenti più affinati e più analitici per descrivere – e prima ancora per leggere – la realtà, per poi mettere queste conoscenze al servizio della collettività e non di un interesse di parte.
Per quanto riguarda gli attacchi al napoletano utilizzato da Geolier, lui non è un letterato.
È vero ha scritto una canzone “napulegna”, però è anche vero che ha tutto il tempo per affinare la conoscenza di un idioma difficile, sia nella lingua scritta sia nel parlato. E se ammettiamo che si tratti di una lingua vera e propria, con peculiari strutture sintattiche e semantiche, tale da non essere classificabile come un dialetto, un solido processo di apprendimento e una progressiva padronanza hanno bisogno di stadi intermedi e di tempo.
Ulteriore tema è quello del dell’estrema semplicità e banalità del testo, che a prima vista può apparire poco significativo.
E’ fondamentale sottolineare nuovamente che Geolier non è un letterato ed ha innanzi a sè un lungo percorso di miglioramento da fare.
Possiede però il merito di aver espresso alcuni concetti – forse per alcuni scontati – con un linguaggio semplice e comprensibile per i più giovani: per esempio, quelli di dipendenza affettiva, abuso, narcisismo patologico, quantomeno in maniera indiretta.
In maniera diretta, il tema centrale dell’importanza di sapersi separare; di andare ognuno per la sua strada senza rancore; dell’utilità di recidere un rapporto simbiotico.
Siamo sicuri che se usassimo parole come educazione all’affetività, tipiche di un saggio specialistico, facendo riferimento a relazioni caratterizzate da fenomeni di triangolazione, dipendenza e abuso narcisistico, i giovani sarebbero ugualmente interessati a questi concetti e, ancor prima, li riconoscerebbero come familiari e riguardanti il proprio universo di senso e significato?
La speranza è che la consapecolezza legata a questi concetti metta radici profonde nelle loro coscienze, attraverso vari canali e fonti, in maniera tale che essi poi li riconoscano quando ne parla la televisione, anche facendo riferimento ai casi di cronaca. Quando se ne discute in classe. Quando ne leggeranno in seguito sui libri.
Da parte del sistema organizzativo del festival – e di tutto quello musicale – si potrebbe, poi, dedicare una parte delle iniziative collaterali a proporre delle guide all’ascolto – un bell’esempio lo fornì tempo addietro il Pomigliano Jazz Festival – perché altrimenti si rischia di elaborare una spiegazione di un genere musicale che parte da premesse sbagliate e necessariamente porterà a conclusioni sbagliate, in virtù di un’articolazione sillogistica.
Qualcuno si potrà chiedere se nel medesimo insidioso equivoco di interpretazione falsata del messaggio veicolato da un genere non possano incorrere anche gli ascoltatori più giovani, che sono in una fase esistenziale in cui possono rimanere vittima di modelli ed esempi sbagliati. In parte questo rischio potrebbe essere mitigato dal fatto che questi giovani cantanti che nascono dai social ne conoscono bene le dinamiche e li utilizzano attraverso l’approccio del learning by doing, cioè dellimparare facendo.
Quindi – come già fanno alcuni scrittori che, attraverso le piattaforme social costruiscono un rapporto personalistico e intenso con i potenziali lettori – così loro hanno un rapporto pressoché quotidiano e costante con i loro ascoltatori e quindi vanno a sciogliere ab origine una serie di potenziali questioni delicate.
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