Milano, la guerriglia urbana che non ha nulla a che vedere col calcio
La guerriglia di Milano succedutasi all’esterno dello stadio dopo la partita Inter – Napoli avranno delle ripercussioni. Intanto ci scappa il morto, ed è un capo ultrà.
Tifoserie violente, il male di un Paese intero e di uno sport. Proprio non riusciamo ad imitare l’Inghilterra nei modelli che più dovrebbero essere positivi. Daniele Belardinelli, 35 anni, originario di Varese è morto per questo motivo. Che sia però chiaro: nessun martirio, perché di santo non si trattava. Anzi, i più maligni potrebbero anche dire che se la sia cercata quando nella notte del 26 dicembre dopo la vittoria della sua Inter sul Napoli per 1-0 ha assaltato, insieme ad altri, alcuni tifosi del Napoli.
Quando si diventa criminali di professione: alcuni arrivavano da Nizza
Forse l’effetto gilet gialli deve aver dato alla testa ad alcuni. Il popolo più rivoluzionario, e dicono anche perbene, d’Europa viene a casa nostra a far danni. Sono delinquenti di professione, come non ha faticato a definirli Mughini durante Tiki Taka di Pardo. In effetti quando si parte alla volta di una partita di calcio in un altro Stato per commettere certi atti la risposta pare sensata.
Sicuramente Daniele non era un tifoso come gli altri. Come sostiene Tuttosport era il capo di una frangia ultrà interista e come riportato da Open, il quotidiano online di Mentana, era anche iscritto all’estrema destra di Varese. Già gli venivano imputati diversi reati da stadio, tanto che gli erano stati inflitti due daspo.
Questa vicenda spinge nella direzione di una riflessione seria ed incontrovertibile: quando la smetteremo di far finta di nulla? In Inghilterra hanno estirpato le frange violente dagli stadi ed ora si godono i frutti del loro lavoro. In Italia addirittura importiamo quelli altrui, come se i nostri non bastassero già. Persone che fanno viaggi anche di 10 ore per dar sfogo alla violenza ed all’odio (stavolta erano i napoletani, ma tutti ricordano di quando gli olandesi devastarono la Barcaccia a Roma, nda).Giusto
Giusto giocare il campionato per non dargliela vinta
E’ giusto giocare il campionato ed è giusto non rinviare la giornata. Come dicevo non se n’è andato un santo, anche se è giusto provare indignazione per la sua scomparsa. Eppure ciò non giustificherebbe la sospensione del campionato, e le multinazionali che sono ormai squadre di calcio non lo consentirebbero. Troppo grande il giro d’affari ed i contratti già firmati, quindi si sa che la richiesta è illogica.
Il calcio però è fatto così. E’ un mondo ipocrita che dice la cosa da dire, che spiega la cosa giusta da fare ai media, ma poi agisce in tutt’altro modo. Inutile fare del perbenismo spicciolo: durante la partita Koulibaly è stato inondato di insulti razzisti e nessuno si è preoccupato di fermarsi. Quando ci scappa il morto siamo tutti più sensibili.
La verità è questa faccenda non ha nulla a che fare con il calcio. Siamo in un Paese che fomenta odio e violenta, che fomenta il razzismo interno (da regione a regione, città a città, paese e paese) ed esterno (verso etnie differenti dalla nostra) e la politica è la principale responsabile. Coloro che hanno dato adito a queste ideologie oggi vedono milanesi di estrema destra contro chi è nato e vive al Sud e viceversa. Viviamo in un tessuto sociale complicato ed arrabbiato, e molti ci marciano e ci hanno marciato sopra. Populismo vuol dire anche questo, ed è bene che muoia in breve tempo se non vogliamo creare un Medioevo moderno, ma senza offesa a chi inventò la balestra.