Marilena Imparato, (illustratrice): “L’arte nutre l’anima. E’ pura magia”
Marilena Imparato è più di un’illustratrice.
Chi è?
L’intervista
È qualcosa che nasce con me, da quando, piccola e precoce lettrice, mi soffermavo sulle figure per riconoscere in esse i personaggi che avevo immaginato. A volte con stupore, talvolta con disappunto ritenendo quelle illustrazioni così poco fedeli ai meravigliosi eroi che tanto mi avevano emozionata. Collezionavo i fascicoli de I Raccontastorie che comprava il mio papà ed era come entrare in mille mondi fantastici, accompagnati da figure ferme che però ai miei occhi prendevano vita. Vorrei essere capace anche io di generare in qualcuno simili emozioni.
Qual è il tuo percorso formativo ed artistico?
Ho studiato all’istituto d’arte ed ho frequentato un’ accademia di fumetto ma il mio percorso vero e proprio è iniziato nel momento in cui è nata in me una forte spinta: l’istinto a “trafficare” con tele e pittura ad olio. Memore anche dei trascorsi artistici di una mamma pittrice che però non mi ha mai guidato particolarmente a livello tecnico ma mi ha ispirato molto. Complice l’odore inebriante di quella pittura e la consistenza pastosa ed invitante. Lo so, sembra che io stia parlando di cibo ma, inevitabilmente, l’arte nutre l’anima e se riesce a coinvolgere uno o più sensi, allora è pura magia.
Cosa i vari personaggi raccontano di te?
Mah, preferirei che non raccontassero nulla di me ma che esprimessero vissuti personali diversi dal mio. Ahimè invece, riconosco e riconoscono spesso negli occhi dei miei personaggi, uno sguardo che un po’ mi appartiene.
Disegnando anche personaggi di manga e cartoni animati, posso dire di essere maggiormente affezionata ad essi. Mi riportano ai tempi delle speranze e dei sogni. Di quella bambina timida e sognatrice che credeva nella magia e che forse, in fondo, proprio grazie all’arte non ha mai perso il “potere magico” di creare con una matita come le sue eroine facevano con una bacchetta magica. Inevitabilmente inventavo anche personaggi miei, come una bimba aliena che si avvaleva di una cintura con due scodelle ai lati per mantenersi in equilibrio sul suo pianeta con una strana forza di gravità. Avevo 10 anni, inventavo di tutto ma mi vergognavo poi a dirlo. Ecco, perché l’ho raccontato?
Domanda molto difficile! Non sono mai riuscita ad inserirmi in una categoria e ad etichettarmi. A volte é frustrante. Ti basti pensare che sono una che coi colori ci lavora ma non ha un colore preferito. Amo il giallo indiano, un giallo con un pizzico di beige o arancione. Il rosa pesca, un rosa con una punta di arancione. O il verde Tiffany, un verde con un po’ di azzurro. Indefiniti ed indefinibili. Scusa la divagazione. Tornando alla domanda, sarebbe facile dire che io mi identifichi con Elizabeth di Orgoglio e pregiudizio. Indubbiamente il personaggio più anticonformista e ribelle ma purtroppo, pur ammirandone il carattere e il coraggio, non riesco ad immaginarmi inserita in una società dove il matrimonio venga visto come salvezza per fanciulle senza dote. Aspirazione e unica strada per la propria realizzazione personale. Rabbrividisco. Elizabeth ha accettato di sposare Darcy per altre ragioni, lontane dal denaro ma era partita partecipando ad un ballo nell’alta società in cui guardarsi intorno in cerca di un buon partito e io, no, non ce l’avrei mai fatta! In Piccole donne invece, ecco riemergere il fastidioso ibrido che è in me. Nei valori e nell’attaccamento ai ricordi, alla scrittura e alla lettura, nel sacrificio, l’istinto, mi rivedo chiaramente in Jo March ma il mio temperamento in generale assomiglia più a quello di Beth. Salvo rari momenti di ira! Posso dire però di essere lontana anni luce sia da Meg che ancor di più da Amy.
Come ho detto amo dipingere, soprattutto ritratti. Volti di luce che emergono dal buio. Impastando coi pennelli e qualche volta anche con le dita. Nel contempo sono legata allo stile del fumetto manga e dei cartoni animati. Così come ai chiaroscuri a grafite. Mio Dio, sto dicendo tutto e niente. Avrai di me un quadro molto confuso adesso! Quello che accomuna questi stili, il famoso fil rouge, sono peró i soggetti. Il fatto che io ami rappresentare soprattutto volti, sguardi. Stati d’animo. È il mio modo per scrivere e raccontare qualcosa di non esplicito ma che sia leggibile solo con un codice d’accesso per pochi.
È stata ed è una bellissima avventura, iniziata con un messaggio privato dalla fondatrice della Vintage, la coraggiosa ed intraprendente Daniela Mastropasqua. Lei ha investito in questo splendido sogno cartaceo che diventa via via una realtà sempre più consolidata. Ha visionato alcuni miei lavori in rete e mi invia un messaggio in cui mi richiede alcune informazioni e mi propone di fare uno schizzo di prova per un’ ipotetica edizione di Piccole Donne. Immagino Jo, circondata dalle sue sorelle mentre, amorevolmente e con passione, legge loro uno dei suoi libri preferiti. Il bozzetto piace molto alla redazione ed eccomi qui, onorata di far parte di questa splendida squadra che non ha smesso di sognare ed investe con cura nel cartaceo dal sapore vintage, nell’era dei computer e degli e-book ultra piatti. Un po’ una bella lettera scritta a mano e decorata che emerge in un pozzo di gelide e-mail.
Altra avventura iniziata per caso! Conosco Rosa su un gruppo di Facebook dedicato alla grafica digitale. Eh, sì mi occupo anche di questo. Fra noi nasce subito sintonia e si crea un bel rapporto fatto di scambi di battute e consigli. Scopro in seguito che la giovanissima Cicconi ha creato una realtà legata alla personalizzazione di oggetti mediante stampa o incisione e mi innamoro immediatamente del progetto. Le chiedo un po’ di costi perché ero io stessa intenzionata a comprare qualcosa di personalizzato e lei mi propone di creare una mia linea con delle illustrazioni destinandomi una percentuale sulle vendite. Non posso negare che alla prima t-shirt acquistata con una mia Wonder woman, mi sono commossa! Mi ha anche offerto la possibilità di promuovere merchandising legato al Gatto Bemolle, un mio personaggio nato per fare vendita di beneficenza in favore dei gatti abbandonati o meno fortunati.
Altra cosa che nasce con me. Da bambina portai persino una gattona più grande di me all’interno della mia scuola elementare ed ho sempre provato empatia e senso di protezione verso le creature indifese e spesso bistrattate. Ho fatto volontariato nei canili e ancora mi occupo di colonie feline, in questa società tanto evoluta per certi versi ma che ancora ritiene la sofferenza animale inferiore a quella umana. Solo perché non espressa nel nostro stesso linguaggio. Basterebbe un po’ di sensibilità ed empatia in più nel guardare negli occhi queste creature e riconoscerne le necessità, spesso uguali o superiori alle nostre. Così come nel bisogno d’amore disinteressato, così raro negli esseri umani. L’ego distrugge e mi rendo sempre più conto che sia questo ad allontanare l’uomo dalle creature diverse da sé. L’egocentrismo che mette l’uomo al centro di un universo personale dove si illude che tutto giri intorno a sé, non rendendosi conto di essere solo un piccolo anello di questa catena di vita.
Da qualche anno a questa parte, è una cosa che mi fa un po’ paura. Cerco di non pensarci molto. Vorrei immaginarmi tranquilla in un focolare domestico con i miei affetti a 2 e a 4 zampe, a coltivare hobby. Amerei crescere professionalmente e continuare quello che sto facendo, come il lavoro di insegnante di arte in una scuola elementare. Cosa che mi gratifica e mi riempie l’anima, nel bellissimo rapporto che si crea con i “miei” bambini.