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Lidia Vivoli: “Il coraggioso muore una volta sola, chi ha paura muore ogni giorno”

Siamo nel XXI secolo, ma ancora oggi le donne sono soggette a violenze continue, in ogni parte del mondo. Da sempre il sesso debole – un clichè che accompagna da sempre le donne – è vittima di soprusi, violenze, discriminazioni, sia fisiche che lavorative.

L’otto marzo ricorre la Giornata Internazionale della Donna, come se poi fosse necessario ricordare le conquiste sociali, economiche e politiche di chi, in meno degli uomini, non ha nulla, ma a pochi giorni da questa ricorrenza, è d’uopo iniziare questa nostra intervista a chi, come donna, è stata ferita nell’anima – oltre che fisicamente – da un raptus di violenza da parte di chi, invece, considerava come proprio compagno di vita.

Lei è Lidia Vivoli, donna palermitana di 41, mamma a tempo pieno dopo il fallimento di Windjet, che ha deciso di raccontare la sua storia da brividi con uno sguardo terrorizzato al futuro suo e dei propri figli.
Innanzitutto, Lei come sta?

“Purtroppo, molto male. Pensavo di averla superata anche se non ho fatto un percorso psicologico, ma quando ho realizzato e capito che lui stava per uscire mi sono accorta che sono una persona diversa, cambiata. Sto male perché ogni notte ho gli incubi, vedo una fine diversa e come lui mi ucciderà. Ho paura del buio, di tornare a casa da sola. La mia vita è cambiata, anche fisicamente perché non posso più indossare i tacchi,psicologicamente sono una persona devastata. Sto malissimo, per un periodo ho avuto rifiuto per il cibo perché quando non superi un trauma hai disturbi al sonno e all’alimentazione. Adesso ci sarà il processo per stalking e questo mi mette ansia e agitazione”.
Come trascorre le proprie giornate?
“Ho due gemelli che fra qualche settimana compiono due anni. Nel corso degli anni ho salvato molti animali dalla strada, ho in casa oltre venti cani e quaranta gatti e nessun aiuto da chi di dovere. Lavoravo per Windjet, compagnia aerea fallita, da allora non ho più trovato lavoro. Con i miei colleghi abbiamo manifestato a nessuno è importato nulla e dopo aver perso il lavoro non ho trovato altro”.
Partiamo dall’inizio, che storia era nei primi anni di matrimonio?
“Nel 2010 mi sono sposata e dopo due anni mio marito mi ha lasciata perché aveva un’altra. Sono stata quattordici mesi da sola, al limite della depressione senza uscire o frequentare nessuno. Poi conobbi quest’uomo, lontano dai miei canoni fisici e culturali. Il mio ideale di uomo è quello che ho sposato, intelligente, ben posato, io adoro mostre e musei, sono laureata, amo l’arte e parlare con una persona intelligente mi piace. Questa persona, invece, era diversa. Non abbiamo mai avuto gli stessi interessi ma lui all’inizio era allegro, brillante, altruista, disponibile con tutti e le mie colleghe mi hanno spronato a questa relazione per aprire un nuovo capitolo della mia vita. Come obiettivo nella vita ho il focolare domestico, un marito che mi ami, dei figli ed un lavoro, ho provato a cambiare visione del mondo, ma sono caduta in trappola”.
Quando ha avuto percezioni sulla gravità e sul peggioramento della situazione?
“I primi tempi sono stati bellissimi. Poi la Windjet mi ha trasferito a Catania e abbiamo iniziato una convivenza. Lui aveva un controllo ossessivo, voleva accompagnarmi ovunque. Mi accompagnava alle riunioni, agli incontri con i colleghi, l’unico posto dove non lo trovavo era a bordo dell’aeromobile. Se avessi fatto un altro lavoro, me lo sarei ritrovato ovunque. Non mi lasciava mai sola”.
Cosa è successo quella notte?
“Lui ha sempre alzato le mani, anche nel 2012 e sempre per questioni di gelosia. Lui controllava sempre il mio telefono, era una richiesta assurda ed aveva su di me un controllo totale, ma io non ho mai avuto qualcosa da nascondere. Quel 24 giugno, tutto è iniziato di mattina, mi chiese di andare a Tindari, in un santuario, per chiedermi perdono e giurarmi amore eterno. Accettai e portai con me mia sorella. La domenica c’era traffico, per il ritorno chiese di rimanere da me perché l’autostrada era bloccata. Ho acconsentito, stavo bene ed ero contenta.  Mentre dormivamo, lui va in bagno, ma torna con una bistecchiera in ghisa con la quale ha cominciato a colpirmi sulla nuca. Stordita, incredula, pensavo fosse stato un terremoto, poi ha iniziato a piantarmi delle forbici nella schiena e per tutto il corpo. Mi teneva per i capelli, ha provato a strangolarmi con la presa del ventilatore. Poi ha iniziato a riflettere sulla situazione, ho provato ad instaurare un dialogo con lui. Lui pensava volessi lascarlo, io volevo solo che lui andasse via perché non avevo più forze, non ci vedevo più, cercavo di capire come stessi fisicamente, mi girava forte la testa. Dopo qualche ora si veste e va via. Ho chiamato il 118, parlando con i Carabinieri è venuto fuori anche l’accusa di sequestro. Sono stata trasportata in ospedale in codice rosso, lui poi è stato arrestato qualche ora dopo”.
Cosa è accaduto dopo?
“Per tre anni sono stata in silenzio, lui è uscito dal carcere dopo cinque mesi in attesa del processo, l’ho incontrato per strada, mi pedinava ed ho capito che non si sarebbe fermato. Il mio avvocato mi ha detto che parlarne mi avrebbe fatto bene, mi avrebbe aiutato. Ero soggiogata da lui da quando è uscito di galera io vivevo nel terrore. Lui adesso è ai domiciliari, ha sempre negato quello che ha fatto ma  per usufruire del patteggiamento ha ammesso solo determinate cose”.
Cosa consiglia a chi potrà trovarsi un giorno nella stessa situazione?
“Non vanno sottovalutati i segnali come quelli di controllo della vita altrui e della propria libertà. Donne e uomini sono diversi ma solo una cosa ci rende uguali come la libertà e il rispetto reciproco. Se un ragazzo vieta alle ragazze una determinata cosa, è un segnale chiaro perché tutti quelli che uccidono e violentano danno questi segnali che sono inequivocabili. Ho lanciato due petizioni ,molte donne non sanno cosa fare e poi c’è il limite di sei mesi per denunciare uno stupro. Chi subisce uno stupro si sente in colpa e ha bisogna di tempo per parlare, con questa petizione ci stiamo spingendo anche in Europa. Io ci ho messo la faccia e sto rischiando la vita. Sono sola, lo Stato è garantista e delinquente ma non fa nulla per aiutare le persone che sono nella mia stessa situazione. Il coraggioso muore una sola volta, chi ha paura muore ogni giorno. La paura mi da più forza di andare avanti, mi sento in dovere perché dobbiamo lasciare ai nostri figli un futuro migliore. Bisogna parlare con i giovani”.

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