Le donne sono mostri: una riflessione sul processo di mostrificazione femminile
Ho deciso di pubblicare questo articolo all’indomani della giornata dedicata alla Befana, che però contemporaneamente è un giorno dedicato a una presa di consapevolezza.
L’epifania, infatti, è un momento di illuminazione e di profonda riflessione. Noi siamo stati abituati a vedere la Befana come una donna talvolta antipatica, altre come una vecchietta benevola che però ha un aspetto orrido, abbastanza respingente.
Brutta, con un nasone adunco, deforme e pieno di porri. Malvestita – è abbigliata con cenci.
Quando si vuole offendere qualcuna le si dice: “Sembri proprio una Befana“. Non è un caso che il senso comune ci abbia trasmesso quest’ espressione non lusinghiera, questo stigma.
La Befana si contrappone e si affianca a Babbo Natale che è l’uomo bonario per eccellenza, vestito di tutto punto, con un abito rosso e bianco. Rubizzo: è il nonno buono che tutti vorremmo.
È la Befana a essere oggetto di un processo di mostrificazione, perché secondo alcune storie e leggende è una donna che è stata punita per la sua iubris, per la sua tracotanza, e quindi è stata trasformata in una megera che fa paura e allontana da sé bambini e adulti.
Non è quindi un caso se proprio oggi vi voglio parlare di un lavoro molto bello, scritto da Marina Salvetti, per la regia di Angela Rosa D’Auria, che vede in scena, tra le altre, Valeria Impagliazzo nel ruolo della strega, accompagnata sul palco da Sara Giglio, Roberta Lista e Sara Esposito.
A lei abbiamo fatto un’intervista per approfondire meglio quale sia il processo di demonizzazione e di mostrificazione che vede le donne oggetto e soggetto principale e che Marina ha voluto mettere al centro dell’opera teatrale Le donne sono mostri.
L’INTERVISTA
D. Quali sono le donne che sono al centro di questo processo di mostrificazione e che vengono rappresentate come orrorifiche?
R. A mio parere sono tutte le donne. Non c’è una donna che si sottragga a questo processo che costantemente e quotidianamente subisce, al di là delle sue scelte e del suo modo di vivere, almeno nel mondo che io conosco.
D. Com’è la tua strega?
R. Quando ho letto il copione mi sono subito entusiasmata per questo personaggio che a una prima vista e a una prima lettura potrebbe sembrare particolarmente leggero e scanzonato. Ma poi, andando più in profondità, rivela tutta una serie di caratteristiche precipue.
Ringrazio tantissimo Marina Salvetti per avermi permesso di interpretare questo personaggio e in qualche modo di tradire la sua scrittura, attraverso una serie di sfumature interpretative. Molto di quello che è emerso si deve anche al dialogo molto intenso con la regista Angela Rosa D’Auria e a quello con le altre attrici. Ho voluto scavare nei meandri di questo personaggio, nei suoi angoli più oscuri. La prima cosa che balza all’occhio, leggendo il copione, è che questa donna non ha un nome ed è l’unica che non racconta nulla della sua storia personale. Lei viene indicata soltanto come una burlesque – performer, ma non sappiamo nient’altro di lei. Cerca di compiere il suo lavoro – che concepisce come una missione e che coincide con la sua esistenza – con grande leggerezza, portando tutta la sua spensieratezza, la sua ironia, a tratti la sua poesia. Ma paga un prezzo molto alto, perché lei è una donna che è protesa verso l’altro, ma dagli altri viene marginalizzata, stigmatizzata e isolata. Dona tutto al suo lavoro a discapito della sua esistenza di cui in fondo non sappiamo niente. Nella mia caratterizzazione, che è in parte diversa da quella di Marina, è anche e soprattutto una donna profondamente sola.
I diversi livelli di lettura di questo personaggio, ma anche le sue stratificazioni e la sua complessità, giustificano i diversi cambi di registro che io adotto: a volte si arriva alla stand up comedy. Il mio personaggio dialoga col pubblico e fa molto ridere. Fa anche la scema di guerra, cioè finge di non capire quello che sta succedendo attorno a lei, quasi che tutto accada per caso, ma in realtà nulla accade per caso. Lei vede e sente tutto, ma sceglie di attraversare ogni cosa con estrema leggerezza, all’insegna della gioia e dell’indipendenza, che per me è la parola chiave di questo personaggio. Esce fuori da tutto e lo fa da artista, in modo creativo, estranea a sentimenti di vendetta e di odio, anche quando subisce ingiustizie. Genera gioia e bellezza anche quando viene ripagata con l’odio, perché lei suscita negli altri sentimenti di odio.
D. Quanto di te del tuo vissuto è rifluito in questo personaggio?
R. Voglio molto bene a questo personaggio e c’è molto di me in esso. Con Angela Rosa si è creato un dialogo, uno scambio, davvero molto bello. Lei mi ha concesso di aprire il cuore a questo personaggio e, viceversa, ha permesso che il personaggio aprisse il suo cuore a me. Si è creata una commistione tra me e questo personaggio secondo me molto poetica. È vero che io gioco con il pubblico, ma in quel momento io mi sto volendo bene, mi sto dicendo che in qualche modo ce l’ho fatta. Si tratta di un percorso, di una traiettoria, seppur difficile e in salita, che ha permesso alla mia strega di diventare sempre più autentica. E di questo devo ringraziare Angela Rosa che a un certo punto ha capito che non mi potevo accontentare e che avevo bisogno di scavare oltre, di scarnificare questo personaggio.
D. Chi sono oggi le streghe e come vengono trattate?
R. Tutte siamo mostri. Tutte siamo streghe.
La capacità creativa, quella di generare e dare la vita, rappresenta il femminile, la parte femminile per eccellenza, sia negli uomini sia nelle donne. Questi quattro personaggi rinascono, si auto-generano, in qualche modo queste donne partoriscono quasi sé stesse. Come veniamo trattate non te lo devo dire io. Purtroppo è sotto gli occhi di tutti. Siamo ancora troppo indietro nel nostro percorso e veniamo profondamente sminuite e schiacciate.