HOMETEATRO

La dodicesima notte al Tin: Gianmarco Cesario firma un’opera rock e moderna

Lo spettacolo La dodicesima notte di William Shakespeare ha concluso oggi, sabato 18 maggio, a partire dalle 20:00, il suo viaggio all’interno del Teatro Instabile di Napoli, diretto da Gianni Sallustro.

Gianmarco Cesario torna alla regia di questa commedia per la quarta volta.

L’ho rappresentata per la prima volta nel ’97 – racconta – . E’ stata una delle prime commedie che mi ha visto lavorare come regista e che ha siglato il mio amore per il teatro. Infatti, grazie a quest’opera cui ho assistito la prima volta a 16 anni a Pompei, con l’interpretazione di Glauco Mauri, mi sono innamorato del teatro e ho cominciato a studiare Shakespeare“.

Da quella prima rappresentazione molte cose sono cambiate, segnando la maturazione registica di Gianmarco, ma anche il cambio di passo dei tempi.

La rappresentazione iniziale incarnava, richiamando le parole del regista, un gusto molto più rinascimentale, classico e fedele alla tradizione. Strizzava l’occhio alle musiche new age, stile Titanic, favorendo il permanere di un’atmosfera favolistica.

Quella di oggi, invece, è una rappresentazione che si rifà molto agli anni ’80 nelle fluorescenze, nei costumi e nel clima generale.

Ogni personaggio richiama un’icona pop-rock: Da Madonna a Freddie Mercury, passando per Prince. Da un precursore come David Bowie a Cindy Lauper senza dimenticare, per esempio, Loredana Bertè con la sua sposa nera.

I costumi sono curati da Melissa De Vincenzo che “riesce sempre a capire al volo quello che ho in testa e a rendere a livello visivo, attraverso gli abiti, la mia idea di quel personaggio“, ribadisce il regista.

in quest’opera – spiega Cesario – viene meno la rigida distinzione tra il genere maschile e femminile. Similmente negli anni ’80, di cui adotto la visuale, per la prima volta cadono gli steccati gender  e vengono creati i presupposti per il riconoscimento di quella che oggi viene definita come fluidità di genere

In scena, i giovanissimi attori dell’Accademia vesuviana del teatro e del Cinema di Gianni Sallustro, alcuni appena diciottenni, e attori di lungo corso tra cui Nicla Tirozzi, Gianni Sallustro e Tommaso Sepe.

Shakespeare – ribadisce il regista – riesce a rendere in maniera sempre calzante tutti i moti dell’animo umano, ma dà spazio anche a molti fenomeni sociali. Lui ha rappresentato l’uxoricidio, che oggi conosciamo come femminicidio, il patricidio, la violenza, il semitismo, l’antisemitismo, la bisessualità… Era figlio del suo tempo e di un’Inghilterra sopra le righe, dove regnava una regina che aveva deciso di non sposarsi e di avere diversi amanti e un re che aveva creato uno scisma con la chiesa cattolica pur di avere diverse mogli. Un Paese che lasciava libero di esprimersi un personaggio estremo come Cristopher Marlowe. Non credo, però, che fosse così avanti come mentalità rispetto al sentire dei suoi tempi, tale da promuovere un processo di legittimazione di coscientizzazione di alcuni fenomeni. Ha voluto semplicemente raccontare la realtà che era attorno a lui, anche perché vedeva in questi sentimenti l’occasione di mettere in moto una grande macchina teatrale. Un gioco teatrale ricco di pathos“.

Come ricorda Cesario, nelle sue opere il drammaturgo inglese riesce a riportare, in controluce, tutto ciò che gli appartiene, segmenti della sua vita di cui troviamo testimonianza, per esempio, anche nei Sonetti. Infatti, ha sposato una donna più grande. Ha perso un figlio, morto annegato in un fiume, che faceva parte di una coppia gemellare. Si è innamorato di un giovane ragazzo, per poi tornare da sua moglie.

In questa piece, che segue la struttura della commedia degli equivoci e degli errori, vengono rappresentati innumerevoli sentimenti contradditori e conflittuali interni ai personaggi che, prima che venga svelato l’inganno, sono convinti di essersi innamorati di una persona del loro stesso sesso, anche se poi l’amore si concretizza e viene agito, in maniera legittima, solo con una persona del sesso opposto.

Nel perseguire un processo di normalizzazione – pur dando spazio per esempio all’amore di Antonio per Sebastian, che incarna l’erastès  della cultura greca, cioè il trasporto di un uomo maturo per un ragazzo più giovane – Shakespeare rimane espressione del pensiero dominante dell’epoca e anche della necessità, come ribadisce il regista, di accondiscendere ai gusti di un pubblico trasversale, composto non solo da nobili e intellettuali, ma anche da esponenti del popolo, che andava a teatro per mangiare e dilettarsi.

Molto ambivalente e ambiguo, secondo gli addetti ai lavori, anche il suo modo di rappresentare la donna che, in alcune opere, è espressione di estrema libertà e anticonformismo, mentre in altre viene schiavizzata, spersonalizzata e reificata, cioè ridotta a un oggetto.

Cesario, inoltre, non compie un lavoro filologico del testo.

Non ricorro – spiega – al pentametro giambico, per me intraducibile e irripetibile in italiano, che quindi risulterebbe poco efficace. Adotto un linguaggio uniforme. A variare, talvolta, sono i toni, Per esempio i comici sono più diretti“.

Nell’opera ogni personaggio è incastonato all’interno di una trama intricata di relazioni a disegnare un adattamento che si muove, in perfetto equilibrio, tra classicità e contemporaneità, grazie alla rilettura di Gianmarco Cesario, supportato da Gianni Sallustro.

Nella rilettura di autori come Shakespeare, ma anche come Pirandello – spiega Sallustro – possiamo cogliere in maniera dettagliata, attraverso un processo di decodifica, cosa essi si aspettassero dagli attori che avrebbero poi interpretato quei personaggi. Vi è una precisa caratterizzazione: bisogna studiare con impegno per leggere quella peculiare punteggiatura. Rispetto all’opera originale ho voluto che il personaggio di Malvolio, fortemente ambiguo, avesse un percorso psicologico, una sorta di parabola. Si tratta sicuramente di un personaggio sempre sopra le righe. Eccessivamente austero, stizzoso, vittima delle stesse regole che impone agli altri. Ha un desiderio estremo di affrancarsi dalle sue radici modeste e non nobiliari. Quando crede di essere amato, diventa come un bambino e si lascia travolgere da amore, dimentico di tutto. Il suo sentimento è in bilico tra amore e follia e di questa follia lui finisce per rimanere vittima,  creando caos e disordine. Ho voluto che nel momento in cui prende coscienza dell’inganno venisse rappresentato come un uomo dolente, svuotato, estremamente addolorato e affranto, privato di quella vis grotteca“.

In qualche modo, attraverso il lasciapassare costituito dalla lettera, lui slatentizza e riesce a esprimere, in maniera finalmente legittima – anche se per un inganno – alcuni suoi desideri e istanze profondi, perdendo qualsiasi freno inibitorio: la sete di potere e supremazia, rappresentati dalla possibilità di trattare male la servitù e comportarsi con sir Tobia, che egli in realtà disprezza e sminuisce per la sua dedizione al vizio del bere, da pari a pari. Uno slancio erotico, che si concretizza in bacetti, ammiccamenti e nel mostrare apertamente – contrariamente ai dettami dell’epoca – le calze gialle e le giarrettiere rosse incrociate (che rompono le regole e regalano un tocco di colore alla monocromaticità e alla monotonia del nero con cui si abbiglia solitamente), ma anche nel permetterai di immaginarsi seduto trionfante in trono mentre la sua sposa giace vinta e sfatta sul talamo nuziale dopo una notte d’amore.

Secondo Sallustro, sussiste un potente richiamo alla commedia dell’arte, in primis I Menecmi di Plauto, dove ritroviamo alcuni tipi fissi e il ricorso ai canoni della tradizione.

In particolare, assistiamo alla contrapposizione tra due categorie: ci sono i vecchi, coloro che vivono attaccati al materiale, a tutto ciò che rappresenta un bisogno primario. Dalla materialità dei soldi all’amore carnale e sessualizzato. Sono vittime di eccessi, per esempio quello del bere o della gola, e entrano in competizione con i giovani, che invece vengono rappresentati come efebici ed eterei, nobili di aspetto e di animo, preda inerme di un amore ideale e platonico.

“L’amore dello stesso conte Orsino – spiega il regista – è un sentimento idealizzato, legato più alla voglia di amare che a un sentimento autentico. In realtà, lui attraverso quella sofferenza, quel macerarsi, riesce a trovare un antidoto alla sua perenne insoddisfazione, cerca di colmare dei vuoti che provengono da un malessere più profondo e di altra natura“.

Oltre ai giovani e ai vecchi ritroviamo gli zinni: il servo uno, scaltro, astuto e intelligente, e quello due, un po’ stupido e credulone.

I comici hanno un ritmo recitativo, toni e movenze grottesche e sopra le righe. I loro sentimenti sono esplosivi. I giovani, invece, sono molto più introversi, implosivi e meditativi e incarnano una recitazione molto più naturale, pulita e, in qualche modo, cinematografica, secondo quanto spiega il direttore del teatro Tin.

Poi c’è la figura del folle, Feste, cerniera tra i vari tipi, che nel suo apparente e continuo nonsense esprime, forse, la vera saggezza e a cui, non a caso, è affidato il messaggio finale: la vita è costellata da alterne vicende, amara e piovosa per alcuni, ricca di gioia e giornate di sole per altri.

Contraltare e quasi alterego di Malvolio è Maria: una donna particolarmente forte, indipendente, anticonvenzionale ma, al contempo, materna nei confronti di coloro a cui viene bene, a cominciare dalla sua padrona, che vorrebbe si  si riaprisse alla vita e alle emozioni . Ella, però, è molto diversa dalla nutrice di Giulietta che, pur essendo il deus ex machina degli intrecci amorosi, appare tutta protesa a permettere che si compia l’altrui destino e la felicità della sua protetta più che la propria.

Infatti, se è vero che manipola sir Tobia e ne sfrutta la debolezza legata all’alcol – con cui lui ottunde la coscienza per nascondere la sua mancanza di coraggio e la sua viltà dietro un’apparenza ridanciana – per altri versi lo protegge e lo vuole davvero per sè.

Maria – racconta la sua interprete, Nicla Tirozzi – mira a guadagnare una certa serenità economica e anche a primeggiare nei rapporti di forza all’interno della casa, ma questo non è il suo scopo principale. Nell’interpretarla, ho attinto al mio spirito materno, forse proprio perchè siamo attorniati dai giovani dell’Accademia, che spesso vedono in meno una confidente e una consigliera. Questo spirito materno non è qualcosa di necessariamente visibile all’esterno. Forse è intuibile in controluce. Il senso materno implica anche una forma di dominio, il mantenere saldo una sorta di guinzaglio, un cordone ombelicale. Il mio è un personaggio che non si sottomette. E’ estremamente moderno rispetto all’epoca. Si fa beffe delle convenzioni sociali. Infatti intreccia una relazione con una persona di rango superiore. Con l’attore che interpreta sir Tobia abbiamo condiviso varie volte il palco. Questo ci ha permesso di creare in questa occasione una sorta di gioco delle parti dai tratti talvolta sensuali, ma mai volgari. Il grande antagonista di Maria è Malvolio, che lei detesta. Non riesce a comprenderlo nemmeno nel momento del dolore più cupo. Nei suoi confronti è spietata. Lo condanna per il suo vivere ipocrita e perbenista“.

Per questo gli tende un tranello – in cui lo esporrà al ridicolo prescrivendogli una serie di comportamenti invisi a lei, ma anche e soprattutto a Olivia – in cui coinvolge tutti gli altri, servitori e nobili, che in parte tratta come babbei. Loro due, secondo quanto evidenzia Nicla, si contendono non solo la supremazia all’interno della gerarchia di potere della casa, ma anche nel cuore della loro padrona.

Ma mentre Maria esercita malia, seduzione e astuzia, Malvolio cade vittima della sua stessa vanità e vanagloria, senza esprimere o sviluppare alcun potere personale.

A fare da spalla a Maria è Fabiana, con cui lei non entra mai in conflitto, interpretata da Vincenza Granato, che riesce perfettamente a incarnare lo spirito peperino ed effervescente degli anni ’80.

Cesario dà vita a una regia molto sapiente, che ha saputo intravedere in quest’opera la capacità di precorrere tempi, mantenendo, al contempo, la  fedeltà alle atmosfere agrodolci shakesperiane, dove il finale è sempre un po’ amaro, aperto e mai risolutivo cioè “non ci riconcilia mai con la trama”, come ricorda il regista.

Questo mix rende questo adattamento innovativo, attuale e coraggioso e non la mera riproposizione di un classico di successo.

L’atmosfera, così come le musiche e i costumi, è rock e molto contemporanea, a segnare un tempo concitato di transizione e cambiamento sociale.

Nella piece – così come in tutto programma di spettacoli selezionati dal teatro Tin – viene dato ampio spazio al talento di questi giovani in evoluzione. Ogni ruolo diviene, a suo modo, primario. Il processo di identificazione avviene attraverso una progressiva operazione di scavo che conduce a una sorta di fusione tra persona e personaggio.

Il risultato è un’opera capace di emozionare, in cui trova spazio espressivo ogni tipo di amore, non solo quello tra le persone, ma anche  l’emozione vivida verso il teatro che riconferma di essere specchio della realtà sociale, ma anche momento e tempo di meditazione, di libertà e di un’appassionata, coinvolgente e mai scontata esperienza conoscitiva.

Lo spettacolo in pillole

Adattamento e regia: Gianmarco Cesario

Sul palco: Gianni Sallustro, Nicla Tirozzi, Alessandro Cariello, Davide Cariello, Nancy Pia De Simone, Vincenza Granato, Luigi Guerra, Noemi Iovino, Domenico Liguori, Carlo Paolo Sepe,Tommaso Sepe, Salvatore Ciro Tufano, Gennaro Zannelli.

Luci e audio: Marcello Radano

Costumi: Melissa De Vincenzo.

Aiuto regia: Maria Crispo e Lucia Saviano.

Produzione: Talentum production e Accademia vesuviana del teatro e del cinema di Gianni Sallustro in collaborazione con il Teatro Instabile Napoli.

La galleria è costituita dalle foto fornite dall’ufficio stampa.

Share This:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Cultura a Colori