Il conciato romano, il formaggio dei Gladiatori
Fondata dagli Etruschi nel V secolo a.C., vanta una storia di oltre ventotto secoli, e può vantarsi del titolo, nel periodo di massimo splendore, di una delle più grandi città del mondo, dopo Roma.
Capua fu, nel corso dei secoli, città osca, etrusca, sannita e romana. Il suo anfiteatro è secondo in ordine di grandezza tra i monumenti dell’Italia antica dopo il Colosseo. Innalzato a cavallo fra il I e il II secolo d.C., presentava in origine quattro livelli di spalti e ottanta arcate realizzate in blocchi di calcare, con oltre duecento busti di divinità che lo ornavano: oggi se ne conservano solo venti, con pochi altri esemplari custoditi al Museo Archeologico Nazionale di Napoli e al Museo Provinciale Campano di Capua.
Nel Museo dei Gladiatori, annesso all’Arena, grazie a innovative soluzioni espositive, sono stati per la prima volta presentati al pubblico gli elementi superstiti della decorazione dell’Anfiteatro Campano. Nel Museo Provinciale Campano, invece, viene conservata la più importante collezione mondiale di Matres Matutae, dette anche le Madri di Capua, ovvero le offerte votive dedicate alla divinità italica dell’aurora e delle nascite, atte a propiziare la salute della donna e dei suoi figli.
Fu proprio dall’antica Capua, l’odierna Santa Maria Capua Vetere, che partì probabilmente la più sanguinosa rivolta contro Roma, conosciuta come la terza guerra servile. Capeggiati da Spartacus, il più famoso dei gladiatori, esasperato dalle condizioni inumane in cui era costretto insieme agli altri schiavi, essi fuggirono dall’Anfiteatro Campano in cui erano confinati, giungendo fino al monte Vesuvio dove, benché armati di soli attrezzi agricoli e di coltelli e spiedi rimediati nella mensa della scuola gladiatoria, riuscirono ad avere la meglio sul drappello della locale guarnigione. La battaglia finale, però, vide la sconfitta e la morte di Spartacus nel 71 a.C., secondo alcuni storici in Calabria o in Lucania. La sua figura carismatica ha ispirato innumerevoli romanzi, film, telefilm, e opere artistiche.
Fra le eccellenze enogastronomiche della provincia di Caserta, il re indiscusso è sicuramente il maiale nero casertano, una razza autoctona pregiata che regala carni saporite e salumi di grande qualità.
Tutto il casertano è inoltre ricco di vitigni, di cui il più antico sembra essere il Palagrello, originario delle colline caiatine, e probabilmente riconducibile alla Pilleolata romana.
Ma è senza dubbio la produzione casearia, il fiore all’occhiello dei Comuni del Medio e Alto Volturno: a partire dalla mozzarella di bufala campana, fino al “conciato romano” che, a dispetto del suo nome, è un formaggio di antichissime origini sannite.
La sua tecnica di produzione e conservazione rimanda a pratiche in uso agli albori della civiltà agropastorale: si produce coagulando, con caglio di capretto, latte vaccino, ovino o caprino. Dopo essere stato pressato con le mani, salato e asciugato, viene inserito nelle “fuscelle” (canestrini di giunchi, oggi, per legge, di plastica) per consentire al siero di colare. Nasce così la forma di formaggio, che viene salata da un lato, e dodici ore dopo, dall’altro, per poi essere messa ad asciugare per dieci, quindici giorni. Dopodiché, le formette vengono lavate con l’acqua di cottura della pasta fatta in casa, e perciò ricca di amido, vengono fatte asciugare su un telo di lino.
Infine, le caciottine sono finalmente “conciate” con olio, aceto, peperoncino e pimpinella, un’erba aromatica selvatica, e conservate in orci di terracotta sigillati.