Gianmarco Cesario: il mio Otello è una sorta di freak, col volto deforme
Chiuderà il suo secondo fine settimana di messa in scena stasera, domenica 26 gennaio alle 18:00, Otello per la regia di Gianmarco Cesario al Teatro instabile di Napoli.
Vi accompagniamo verso quest’ultima rappresentazione, proponendovi un’intervista integrale al regista, che sarà introdotta da una breve analisi frutto della visione dello spettacolo e di alcuni arricchenti scambi dialettici.
Idealmente, per una precisa scelta registica, la scena viene trasportata dal Medioevo all’epoca dei totalitarismi, richiamando le guerre fratricide di ieri e di oggi. Testimonianza ne sono i costumi sapientemente scelti e realizzati.
In scena assistiamo a una serie di contrapposizioni plurime. Tra due epoche che si avvicendano: una caratterizzata dall’utilizzo veritiero della parola che diviene sigillo d’onore.
Un’altra, quella moderna, in cui la parola viene adoperata per convincere e manipolare.
Contrapposti sono due uomini: Otello, giusto e retto – difforme rispetto all’ottica dominante nell’epoca corrente in cui si trova catapultato, ma anche deforme nel volto a causa di antiche ferite di guerra – e Jago un essere umano infido, manipolatore e bugiardo, che ordisce complotti e che, dietro la maschera della mitezza e della socievolezza, cela un’invidia corrosiva e un profondo rancore.
A scontrarsi sono anche due concezioni del potere: uno legittimo, volto alla tutela del superiore interesse pubblico e alla salvaguardia del bene collettivo, incarnati dal Presidente, una donna che ha dovuto rinunciare alle fattezze femminili, per essere ritenuta degna di detenere un’alta carica.
Un esercizio dell’autorità equo, che cerca di far dialogare chi è in conflitto, di ricondurre tutto e tutti ad armonia.
Otello e Brabantio, il padre della sua giovane sposa, sono due facce della stessa medaglia: un volto onesto e leale.
C’e invece chi, come Jago, persegue soltanto i suoi obiettivi e finalità particolaristiche.
Assistiamo anche a una contrapposizione tra donne, oggetto di considerazione e trattamento diffenti in virtù della loro appartenenza socio-economica e della loro peculiare condizione di vita.
Chi è piu svantaggiata ed “esposta” socialmente, viene accusata senza alcuna possibilità di difendersi, etichettata, offesa, presa in in giro e raggirata non solo dagli uomini, ma anche dalle stesse donne.
Non è un caso se proprio una di queste sventuate, Bianca, richiamerà la propria interlocutrice a una comune radice di umanità e ad un’appartenenza di genere che dovrebbe comportare sostegno e solidarietà reciproche.
Una rappresentazione davvero preziosa, perché è spunto di costanti riflessioni. Riesce a rimanere fedele alle radici, ma anche ad attualizzarle, grazie a precise scelte registiche e a coraggiose prese di posizione, che conferiscono ulteriore senso e significato alla narrazione shakesperiana.
Tutti gli attori sono perfettamente calati nel personaggio, indispensabili a creare la giusta atmosfera, al servizio della quale mettono le loro sfumature caratteriali e caratterizzanti.
Una struttura narrativa coinvolgente, disegnata non solo dall’autore originario, ma anche dalle scelte registiche.
Gli attori con la loro intensa interpretazione, autentica e credibile, sono tasselli indispensabili a scatenare il coinvolgimento e lo sconvolgimento emotivo dello sperratore. Catalizzatori di una rapida corsa verso un tragico epilogo.
Ora lasciamo la parola al regista Gianmarco Cesario che ci racconta il suo Otello.
L’INTERVISTA
D. Nei tuoi adattamenti, torna spesso il tema della marginalità e dell’estraneità nella provenienza, nell’aspetto, negli usi e nei costumi. Ce ne parli?
R. È un tema da sempre al centro, in verità di tanta drammaturgia: Edipo, i protagonisti di “Nozze di sangue”, Medea, Otello, solo per citare le mie ultime regie, fanno i conti con il loro passato, con le colpe dei padri o, come dici tu, con il contrasto fra la propria identità e quella dell’ambiente che li circonda. Oggi come allora, forse, è il principale motivo di conflitti, interni ed esterni, e le vicende dei personaggi citati, come sai, nascono proprio da questa sorta di malessere.
D. Shakespeare risulta di grande attualità. Già altre volte abbiamo detto che però lui si limita a osservare e descrivere più che a denunciare e a precorrere i tempi. È così anche in questo caso?
R. Direi in linea di massima di sì. La grande invenzione drammaturgica, nell’ “Otello”, è quella di rendere complice il pubblico, grazie agli “a parte” che Jago utilizza per spiegare agli spettatori cosa farà, ma non solo, lui in questo modo confida anche i suoi motivi, come dicevo li complicizza, e il giudizio nei suoi confronti in molti casi viene sospeso, dagli spettatori che probabilmente empatizzano più con lui che con Otello. Shakespeare non denuncia, in questo modo, colui che è da considerare il male assoluto, ma ne mostra un lato umano, quasi simpatico.
D. Che tipo di popolo è quello che rappresenti? Acquiescente e connivente?
R. Purtroppo, anche se inconsapevolmente, soprattutto per quel che riguarda il femminicidio, nonostante la grande denuncia che ci viene da più parti, si fa fatica a prendere sul serio le avvisaglie che ci arrivano da tanti comportamenti. Domenica sera, dopo lo spettacolo, mentre tornavo a casa, per strada ho assistito ad una scenata di gelosia al limite della rissa. L’uomo urlava come un ossesso, si dimenava, lì davanti ai passanti, inveiva contro la donna che cercava di minimizzare: ecco quest’episodio, forse proprio perché ero emotivamente coinvolto dallo spettacolo, mi ha fatto scattare la molla e ho avvisato il 113, e dopo un po’ ho visto una pattuglia arrivare e sono andato via. Tutti gli altri spettatori involontari erano lì, guardavano, commentavano, alcuni addirittura ridevano trovando il lato grottesco della vicenda. Ecco io credo che la complicità sia questa: sottovalutare, e il popolo che rappresento, per tornare alla tua domanda, è uguali a molti bravi cittadini.
D. Che ruolo hanno i costumi nell’ambientazione?
R. I costumi, del bravissimo Costantino Lombardi, hanno una duplice valenza: quella di avvicinare temporalmente personaggi e vicende, dal medioevo al secondo novecento, e quello di rafforzare l’ambientazione militare, un ambiente in cui il sessismo è tradizionalmente radicato, anche se oggi si sono fatti passi da gigante. Infine ho voluto i toni del grigio e del nero, che con le luci fredde, ci restituiscono immagini che non concedono nulla al colore e alla frivolezza.
D. Che lavoro hai fatto sulla semplificazione del linguaggio a favore di un pubblico trasversale?
R. Il linguaggio di Shakespeare è multiforme, e i suoi traduttori spesso hanno non poche difficoltà e restituirlo. Io ho favorito una riscrittura moderna, che non concede nulla al lezioso: insulti, metafore estreme, evocazioni sessuali, sono tutte già nell’inglese originale, spesso edulcorato dai forbiti traduttori italiani, Non parlerei perciò di semplificazione, ma di essenzialità del linguaggio, che, naturalmente, arriva più diretto a tutto il pubblico
D. Da straniero nell’etnia, Otello diviene difforme e deforme nel corpo. Come mai hai compiuto questa scelta?
R. Più volte nel testo si parla di un uomo “che fa paura al solo sguardo”, lui stesso si meraviglia del fatto che nonostante Desdemona “avesse occhi per vedere” abbia scelto lui, inoltre, il suo essere insicuro, rendendolo così facile preda del manipolatore Jago, mi ha fatto scegliere di rappresentarlo come una sorta di freak, col volto deforme. L’etnia, al giorno d’oggi, avendo attualizzato l’ambientazione, non sarebbe credibile come causa, almeno su questo campo, per fortuna, qualche passo in avanti l’abbiamo fatto. Diverso è il caso di “Medea”, portata da me in scena qualche stagione fa, che viveva la sua emarginazione per colpa della sua diversa etnia, qui Otello è perfettamente integrato nella vita sociale e politica.