Federico Salvatore, cantastorie scomodo
Ci deve essere qualche cosa nel quartiere Stella di Napoli, o almeno c’è stata, che rende la gente diversa, propensa a ridere e a far ridere con intelligenza, senza dimenticare, anzi facendone spunto, i mali e i problemi del sud Italia e della società in generale. Solo così si spiega come a distanza di alcuni decenni il quartiere Stella abbia dato a Napoli e al mondo due personaggi quali Totò e Federico Salvatore. Due figure diverse, senza dubbio, due maschere distinte eppure simili nella genesi del momento comico, sempre basato su riflessioni profonde e spesso amare, una comicità dunque dura, appena edulcorata da una sottile patina traslucida: patina più opaca in Totò, che con la mimica e la consumata arte maturata nell’avanspettacolo, smussava gli spigoli della satira e della denuncia sociale, pure presenti e corrosive, a saper leggere tra le righe; trasparente, diafana, quasi inesistente quella di Federico Salvatore, una patina che invece di ottundere quei medesimi spigoli evidenzia, affila, rende acuminati, taglienti, dolorosi. Certo, questo è il campo di gioco di ogni buon monologhista comico che, come dice il poeta, “castiga i costumi con la risata“, ma in Federico Salvatore c’è qualcosa in più, un’evidente ricerca nella storia detta, e in quella sussurrata, della Nazione e del sud, una cultura profonda ed una curiosità diremmo ossessiva. Nello scorrere la biografia di questo autore ed attore, si vedono con chiarezza i percorsi umani ed artistici paralleli, anzi sovrapposti, inscindibili. Federico Salvatore fa conoscere al grande pubblico la sua verve umoristica con brani comici accompagnati dall’inseparabile chitarra, pezzi di facile presa anche grazie alla presenza di tormentoni simpatici ed accattivanti: settecentomila le copie dei dischi vendute (“duecentomila a Napoli, ma erano copie pirata…” scherza, anche su questo, Salvatore), una notorietà improvvisa e prepotente, complice anche la presenza continua nel salotto televisivo per eccellenza, quello di Maurizio Costanzo. Siamo alla metà degli anni ’90 dell’ultimo secolo del millennio passato e, tra i versi delle varie ninna-nanna faceva timidamente capolino la natura vera di quella comicità per altri versi ancora acerba e non impegnata: in ‘Azz…’ Federico Salvatore gioca sulla dualità del proprio nome (a proposito: Salvatore è il cognome) e si sdoppia in Federico, arrogante parvenu dei quartieri alti, e Salvatore, proletario partorito dal recesso più buio del ventre di Partenope, sirena fondatrice della città, i cui attributi femminili Salvatore maledice, con la schiettezza che lo contraddistingue, per aver generato una città così bella e maledetta al tempo stesso. I racconti di vita quotidiana di Federico e Salvatore narrano di momenti paralleli eppure profondamente diversi come sono insanabilmente opposti gli ambienti di provenienza dei due personaggi. L’effetto comico è irresistibile e sovrasta la denuncia, il tutto sembra ancora un giochino innocente e le televisioni danno ancora spazio al giullare del quartiere Stella. Ma pian piano, il giullare depone il suo cappello a sonagli, lascia la chitarra ad altre mani e si dedica, si concentra sul racconto, un racconto sempre più spietato, sempre più duro, sempre più scomodo. Una comicità che continua a far ridere solo le genti del sud, abituate da sempre a ridere per non piangere, un racconto di soprusi ed angherie che fa ridere a denti stretti e con le lacrime agli occhi, un racconto che non piace più agli italiani; e la tv si disinteressa di Federico Salvatore. In un mondo che, malgrado la modernità ed i progressi spesso più di facciata che reali, resta un mondo provinciale e chiuso, un mondo per cui “se non sei in tivvù non esisti“, Federico Salvatore sembra uscire di scena. Ma non è così: il napoletano, l’uomo del sud, il cantastorie continua a lavorare, a raccontare, a gridare verità scomode a chi ha orecchie per sentire, occhi per guardare e soprattutto un cervello per pensare, e lo fa con un linguaggio volutamente scorretto, ruvido, popolare, farcito da espressioni talvolta grevi ma liberatorie (” ‘e maleparole te fanno sfuga’, te fanno sta’ bbuono”), e mai, mai gratuite . Federico Salvatore produce ancora dischi, in uscita il suo ultimo lavoro, e a girare per palchi nelle piazze e nei teatri: abbiamo avuto la gioia di ascoltarlo ieri in piazza a Taurano, provincia di Avellino, e a questo incontro si riferiscono le mostre immagini. Un caro saluto da Antonio d’Avino
Immagini a cura di Juna Lieto