Donne e uomini dell’arte a Napoli e in Campania: ‘Cultura a Colori’ intervista Pasquale Cirillo
Attore di teatro, autore e regista, artista presepiale, profondo cultore di storia e filosofia: tutto questo e molto altro è Pasquale Cirillo
Incontriamo Pasquale nel suo appartamento a Boscotrecase. Quadri di artisti contemporanei alle pareti, presepi e pastori addossati ai muri, trofei, diplomi e libri, tanti libri. Una casa accogliente, calda che rispecchia il carattere aperto e cordiale del nostro ospite e le sue mille curiosità. Lo sguardo è acuto, intelligente e irradia, allo stesso tempo, una umanità sconfinata. E’ lo sguardo di un uomo buono che ama profondamente e senza riserve il genere umano. E ama soprattutto la sua terra e la sua gente, ed ha quella sensibilità ingovernabile che durante la nostra conversazione, di tanto in tanto, gli vela lo sguardo e arrochisce la voce. La sensibilità che senza eccezioni caratterizza l’artista vero e l’uomo di cultura appassionato. E Pasquale è tutto questo.
Ascoltare la registrazione originale dell’intervista è utile sempre, perché solo la viva voce del personaggio può rendere appieno le sfumature della personalità, il gusto del racconto che il cronista può solo approssimare nel trascrivere. Nel caso del personaggio intervistato questa settimana è ancora più consigliabile: Pasquale Cirillo è un fiume in piena, è un flusso impetuoso ed irrefrenabile di racconti, citazioni, aneddoti, notizie, appunti della più varia natura, materiale prezioso ma che travolge (piacevolmente) l’interlocutore è rende ancor più necessario l’intervento di sintesi nel passare dal parlato allo scritto per mantenere l’articolo nell’ambito di lunghezza consueto.
“Dunque, Pasquale, iniziamo con la nostra domanda di apertura ormai di prammatica. Tu sei un personaggio dalle infinite curiosità, ma essendo noi in questo ciclo di interviste in qualche modo ‘teatro-centrici’ ti chiediamo: quando è iniziata la tua avventura teatrale e in che modo ?”
“Il teatro come fatto recitativo vero e proprio è iniziato piuttosto tardi, avevo quarantotto anni. Ormai di anni ne ho settantuno per cui ho comunque vissuto, teatralmente parlando, una numero di anni discretamente lungo che mi ha consentito di avere un buon numero di esperienze, piacevoli per lo più, in qualche caso spiacevoli, ma questo rende il gioco più interessante. In realtà ho amato il teatro da molto tempo prima che cominciassi a farlo. Amavo come credo tutti dalle nostre parti, il teatro di Eduardo, autore che mi sentivo affine anche per la comune passione per il presepe. Avrei voluto essere, come tutti quelli che cominciano a fare teatro Luca Cupiello, così come le neo attrici sognano di interpretare Filumena Marurano, ed esclamare ‘Cunce’ in questa tazza il caffè non ci è mai stato!‘ oppure ‘Conce’ fa freddo fuori ?‘. Altro mio sogno era recitare ne ‘La cantata dei pastori‘. Ho potuto realizzarli entrambi. Iniziare il teatro a quarantotto anni in qualche modo mi è sembrato un segno del destino, essendo io nato nel 48, inteso millenovecentoquarantotto: la coincidenza cabalistica dei due numeri rendevano quell’anno in qualche modo foriero di una qualche novità epocale, per me s’intende, fosse pure la morte, nel qual caso avrei dovuto preparare per l’occasione le mie ultime parole, quelle da lasciare ai posteri. Invece, fortunatamente si trattava del momento di coronare il mio sogno di fare teatro. E di fare teatro napoletano: un teatro che viene studiato all’estero, nelle università e nelle grandi scuole di teatro, ma che spesso non è sufficientemente apprezzato nel nostro Paese. Ricordo a questo riguardo l’incontro di una ragazza olandese con Enzo D’Auria, un regista, grande appassionato di teatro. Annabelle, questo il nome della giovane olandese, presentava la propria tesi di laurea all’Università di Amsterdam, sul teatro napoletano del ‘700 ed era venuta a Napoli col preciso scopo di incontrare Enzo per approfondire con lui la sua conoscenza sulla materia scelta per l’esame di laurea. Tra le altre cose, ricordo che Enzo , così come me, non amava il termine regista. Sui manifesti degli spettacoli che presentava dichiarava ‘… a cura di Enzo D’Auria‘.”
“Bene, chiariamo a questo punto che tu sei un attore amatoriale, non professionista. Il termine amatoriale definisce una persona che opera in un determinato campo per pura passione, senza ricavarne retribuzione, il che può portare a rendere prestazioni superiori a chi lo fa come lavoro”.
“No, non sono d’accordo. La vita del professionista [del teatro] è talvolta difficile. Noi amatori facciamo teatro senza compenso grazie ad una tranquillità economica che, nel mio caso, viene dalla pensione. Il professionista è allora un amatore ancora più grande perché il più delle volte pratica un arte che pur remunerandolo gli rende appena di che poter vivere. In certi professionisti, quindi, l’amore è una componenente ancora più grande che in noi amatori. Inoltre, è il professionista, spesso, che paga al teatro il prezzo più grande, lontano dalla famiglia e dagli affetti per lughi periodi, durante le feste più importanti e sentite. Abbiamo la testimonianza di Eduardo, per il quale il teatro era amore ma anche ossessione, che ci ha raccontato quanto gli sia costato il teatro, in termine di lontananza dalla propria famiglia, una famiglia che pure amava tantissimo.”
“Tu sei, dunque un attore amatoraiale, ma di lusso: sei stato premiato, nel 2019 [riportato erroneamente come ‘2018’ nella registrazione n.d.r.], come miglior attore amatoriale non protagonista. Per quale interpretazione ti è stato assegnato il premio?”
“Sono stato premiato lquest’anno dalla FITA, Federazione Italiana Teatro Amatoriale, come miglior attore non protagonista per la ‘Morte di Carnevale‘. Spesso, come augurio, i miei amici mi chiedono a quando il premio come miglior attore protagonista. Questo fa capire che è diffusa l’idea che l’attore protagonista sia un ruolo in qualche modo superiore a quello del non protagonista. In realtà si tratta di attività complementari, l’una necessaria all’altra. Ci sono camei indimenticabili cesellati da grandi attori sia in teatro quanto al cinema. Ricordo ad esempio, il ruolo secondario ma assolutamente brillante di Dustin Hoffman nel film ‘Profumo‘ [‘Profumo – Storia di un Assassino’ diretto da Tom Tykwer, 2006 n.d.r.]. Nel mio piccolo ho anch’io un aneddoto significativo in merito: caratterizzavo il personaggio di un cafone, ruolo assolutamente secondario, in un lavoro intitolato ‘Antonio Esposito e la lampada di Aladino‘. Ebbene, Pio Piscicelli, ora un attore, vide da bambino quel lavoro e quel personaggio lo aveva tanto colpito da ricordarlo ancora. Tornando al premio, devo riconoscere che lo debbo anche alla buona sorte che mi ha fatto incontrare un ottimo, giovane regista che ha la gran parte del merito del successo del lavoro e mio personale: Salvatore Pinto. La vita è l’arte dell’incontro, dice De Moraes, e nel mio caso la sorte è stata particolarmente benigna, mettendo sul mio cammino incontri davvero fortunati.”
“Non è certo tutto merito della fortuna, ci vuole anche talento…”
“Si, ma se hai talento e non fortuna, non hai nessun modo per applicarlo, il tuo talento!”
“Giusto. Parlaci ora della o delle compagnie per cui lavori e di cosa state preparando”
“Il mio istinto di libertà mi impedisce di accettare imposizioni del tipo ‘se lavori con me non devi lavorare con altri’ per cui tendo a collaborare con più di una compagnia. E però doveroso assicurare ai propri compagni la collaborazione totale e senza riserve, assicurarsi di non fare il passo più lungo della gamba e non assumere impegni che non si sia in grado di mantenere. La serietà, il rispetto per le persone e le compagnie con le quali si lavora, la dedizione massima all’arte che si è scelto di praticare, ecco questo è importante al pari o forse più della bravura come attori. La prima compagnia con cui ho lavorato è stata MediaMusical diretta da Liborio Preite ed è la compagnia con cui principalmente collaboro tutt’ora. Liborio, non me ne vogliano gli altri, è sicuramente uno dei migliori registi con cui ho lavorato, uno che sa quel che fa e non si improvvisa regista. Preite è anche un ottimo attore tanto quanto lo è come regista: è questo purtroppo è un handicap. Sì perché essendo un attore di valore, molte volte è costretto a mettersi in gioco, come attore appunto, in lavori nei quali è già impegnato come regista. Sfortunatamente, a mio modo di vedere, un attore non può essere regista di sé stesso, non può autodirigersi, a meno di non chiamarsi Eduardo. Per cui, se Liborio come direttore vale 10 e altrettanto vale come attore, come regista/attore non vale venti, ma qualcosina in meno. Ora con MediaMusical e Liborio Preite sto lavorando ad un impegno molto interessante: una nuova lettura teatrale delle vicende di Masaniello, prendendo a modello l’analogo lavoro di Elvio Porta, a cui, vincendo la mia pigrizia connaturata, ho messo mano anche come autore. Un adattamento non sempre è un’operazione semplice. In primo luogo entra in gioco il materiale umano con cui lavori e che non sempre è uguale, per numero e caratteristiche, a quello originario. Per cui ti tocca ridurre ruoli, o addirittura eliminarli, o espanderne altri, o ancora inventarne di nuovi. Un lavoro simile lo feci a suo tempo con il Liolà di Pirandello, che tradussi in napoletano, ricalcando un progetto analogo dei De Filippo di cui però non riuscimmo a reperire i copioni. Non seppi, e non volli, limitarmi alla semplice e pura traduzione, per cui inserii alcune trovate del mio sacco ed ebbi la soddisfazione di riscuotere un buon successo sia da parte del pubblico che di amici attori e registi. Ci sono autori che si prestano maggiormente a simili operazioni, altri sono più ostici al rimaneggiamento. Uno di questi è proprio Elvio Porta, di cui affrontai la rilettura de ‘ ‘O juorno ‘e San Michele‘ e che ribattezzai ‘Briganti‘. Una struttura rigida, quella dei testi di Porta, difficile da modificare e piegare ai propri voleri. Pure, con grosse difficoltà, riuscii ad inserire nella trama quattro nuovi personaggi femminili e a scrivere un nuovo finale. Finale che, tuttavia, mi fu bocciato dal regista, per fortuna…”
“Per fortuna ?”
“Si, perché il finale che proponevo, la nascita del figlio di Michele dopo la sua morte, segno di una continuazione, un pepetuarsi della storia era, vista a posteriori, un polpettone poco coerente con il corpo principale della storia che termina in origine più efficacemente con la morte della madre di Carminiello“
“Ma qual’è l’origine delle trame che proponi, che crei ? Una parte fondamentale, credo stia nella tua enorme cultura, storica, in particolare”
“No, io mi ritengo più che altro un cercatore, uno che cammina guardandosi intorno e raccogliendo ciò che trova, fiori, funghi, magari sassi. E’ così che trovo le mie idee.”
“Torniamo a parlare dei tuoi progetti correnti. Cosa ci dici del Masaniello che stai preparando?”
“Come di dicevo sono partito dal Masaniello di Elvio Porta. Ho voluto inserire brani dal Masaniello di Amalfi di Eduardo, scontrandomi con quella rigidità strutturale dei testi di Porta, di cui ti accennavo prima. Ma a dispetto di tutte le difficoltà, ho voluto procedere con l’operazione di innesto, inserendo qualche pennellata romantica Eduardiana al testo originale. Qualche pennellata, poi, l’ho partorita io, come ad esempio con l’inserimento del personaggio della Regina dei Pidocchi, una mendicante tragicamente e vanamente innamorata di Masaniello.”
“Quando potremo vedere questo inedito Masaniello in teatro?”
“Andremo in scena al teatro Don Orione, a Ercolano, il penultimo e l’ultimo fine settimana di gennaio prossimi [18-19 e 25-26/1/2020 n.d.r.] Il Masaniello di Porta è stato rappresentato dalla Compagnia delle Indie all’aperto, in Piazza Mercato, a Napoli, dunque con situazioni di luce, di resa sonora ben diverse da quelle che presenta la struttura chiusa, situazioni di cui bisogna tenere conto già in fase di scrittura.”
“Altre compagnie con cui stai lavorando?”
“Si, s’è una seconda compagnia con sui sto cooperando, quella diretta da Salvatore Pinto. Questo regista trentunenne è l’ennesima riprova di quanto sia vera la citazione fatta in precedenza. La vita è davvero l’arte degli incontri, a volte incontri che avvengono per casualità davvero improbabili, ma che pure avvengono come obbedendo ad una trama invisibile ed ineluttabile. Così è accaduto per il mio incontro con Salvatore e la sua “Compagnia di Zazzà“. Già la storia dietro questo nome mi piacque influenzandomi favorevolmente: Zazzà non è il personaggio della celebre canzonetta di Cutolo e Cioffi, bensì un richiamo al cognome del nonno di Salvatore. Questa dimostrazione di buoni sentimenti, quest’affezione per il retaggio familiare da parte di questo regista, per di più appartenente ad una generazione recente, debbo dire mi piacque molto. Ma quando a causa di un’indisposizione familiare da parte di un attore, Pinto mi propose il ruolo di Gaetano Semmolone in Miseria e Nobiltà di Scarpetta, con solo due giorni di prove prima del debutto, dovetti a malincuore rifutare per un impegno improrogabile che avevo già con mia figlia. Ma la trama predisposta dalla vita prevedeva un colpo di scena: così mentre Salvatore mi esponeva il suo rammarico per il mio rifiuto, il citofono suonava e mia figlia mi comunicava di aver diversamente provveduto alla necessità per la quale aveva richiesto il mio aiuto. Ero improvvisamente libero di accettare la proposta della Compagnia di Zazzà e non persi tempo a comunicare il cambio di rotta ad un esterrefatto Salvatore Pinto che era ancora in linea. Dovette pensare che ero un folle, ma questa è la normalità della gente di teatro. Come ho più volte detto, la vita una trama di incontri che si incastrano a volte con presisione micrometrica. Un ruolo è un ruolo, e rappresenta un impegno anche quando è noto e strafamoso come quello del cuoco di Scarpetta. Riuscii tuttavia a farmi bastare i due giorni di prove, lavorando fino a notte fonda con la compagnia che ebbe così modo di fare conoscenza con il mio metabolismo vampiresco: astenia diurna ed iperattività notturna! Così esordii, sotto i migliori auspicii, anche con Pinto e la sua compagnia. Auspicii che poi si sono concretizzati, come detto, nel premio FITA grazie a Morte di Carnevale diretto da Salvatore e con la Compagnia di Zazzà. C’è un piccolo aneddoto riguardo alla mia partecipazione a questa competizione: io giunsi alla finale con ben due lavori, Morte di Carnevale, appunto con la Compagnia ‘e Zazzà, e con L’Ultimo Scugnizzo di Raffaele Viviani presentato dalla MediaMusical di Liborio Preite. Questo mi dava decisamente delle chances di vittoria in più, ma era un’eventualità perfettamente corretta alla luce del regolamento.
Fortuna e coincidenze: a costo di ripetermi, l’essenza della vita è qui. Per esempio, il 14 novembre è la data in cui sono entrato nella vita adulta, con la partenza per il servizio militare, ed è anche la data nella quale sono uscito dalla vita lavorativa con il pensionamento. L’uscita dalla vita lavorativa remunerata, s’intende, non dal lavoro fatto per amore.”
“E del tuo lavoro televisivo cosa ci dici?”
“L’esperienza lavorativa in televisone è sicuramente molto attraente, anche se richiede di dimenticare il modo di recitare teatrale. Ricordo ancora della mia prima esperienza in televisione con Mediaset in Distretto di Polizia, l’emozione provata entrando perl la prima volta in quei camerini è indimenticabile. Ma come contraltare c’è il rischio di bruciarsi rapidamente nella bulimia di personaggi tipica delle fiction. Questo naturalmente a meno che tu non sia uno dei professionisti che rivestono i ruoli principali e che lavorano nella serie fino ad esaurimento della stessa. E’ il caso di Gianni Ferreri, con cui ho stretto una bella amicizia proprio sul set di Distretto di Polizia. Grazie all’intesa immediata che si è stabilita tra me e Gianni abbiamo avuto il piacere di ricevere più di un buona la prima, che è un’evenienza piuttosto rara. Ecco, si può dire che nel distretto Gianni ha preso ‘o posto. Ma, innamorato come me del teatro, Ferreri, che è di San Giorgio a Cremano, non ha rinunciato al palcoscenico che continua a frequentare anche a costo di grossi sacrifici personali che gli vengono imposti dalla poca disponibilità di tempo che gli lascia il lavoro in tv. In realtà la mia primissima comparsa in televisione è datata 1993, in un gioco tra Comuni d’Europa organizzato per festeggiare la stipula del trattato di Maastricht. In quell’occasione ho conosciuto Alessia Marcuzzi, un donna tutt’ora bellissima, ma che all’epoca dei suoi vent’anni era di un’avvenenza da togliere il fiato. Un’altra donna bella oltre ogni dire con la quale ho lavorato è stata Emanuela Arcuri nella serie Donne sbagliate, anche se in quell’occasione ho provato un po’ d’amarezza per non essere riuscito ad incontrare una donna ed un’attrice del calibro di Virna Lisi, anche lei impegnata nella fiction. Poi ho fatto Forum, dove ho avuto la fortuna di incontrare il primo giudice Sante Licheri e Rita Dalla Chiesa. In RAI ho fatto Un medico in famiglia e poi La squadra, dove tra l’altro ho un buon ricordo di Tony Sperandeo. La RAI paga decisamente meno di Mediaset, questo lo dico per i giovani che eventualmente debbano fare una scelta tra le due. A differenza del teatro, almeno per me, l’entusiasmo verso la televisione è andato in calare; la mia ultima esperienza con Max Tortora mi ha lasciato poco. Ma malgrado questo, se mi chiamassero, non mi tirerei indietro.”
“E adesso passiamo a quello che, so bene, è il tuo primo grande amore: il presepe. Torniamo quindi alla prima domanda, parafrasandola: come nasce l’amore per il presepe?”
“Io vivo una realtà di bigamia, dividendo il mio cuore tra teatro e presepe. Io ho amato il presepe fin da bambino, amo il presepe in tutte le sue manifestazioni, amo i pastori di fattura artistica, perfetti, fatto da grandi maestri contemporanei del calibro di Ulderico Pinfildi, con la bottega a San Biagio dei Librai, così come i pastori di terracotta magari sbreccati, con la patina di polvere, intrisi di storia, degli umori delle tante mani che se li sono passati di generazione in generazione. Tutto inizia dal dono di una mia vicina di casa quand’ero un bambino. Questa vecchina mi chiamò e mi disse Linù, t’aggia da’ na bella cosa e mi consegnò una cartella di cartone marrone da scuola elementare, che conteneva un tesoro fatto da alcuni pastori parecchio vissuti. Cominciai così a ripararli con i mozziconi di candela recuperati in chiesa e ad allestire i miei primi presepi sulla cascia del corredo di mia sorella. Uno dei miei primi maestri fu padre Angelo Maria Salvatore, amante del presepe e di archeologia. Cominciai a raccogliere ogni cosa mi potesse tornare utile per allestire i miei lavori, cartoni, residui di legno di varia natura, perché il vero presepista, il vero presepiaiuolo è riciclatore. Poi incontrai Giosuè Romano, altro grande maestro della scuola di Barcellona, detta della scagliola, del gesso. A sua volta Giosuè aveva imparato da padre Gilberto Galceràn e Juan Marì Oliva, spagnoli ma che hanno lavorato molto in Italia. I loro lavori, vere opere d’arte recentemente restaurate possono essere ammirati ad Amelia. Giosuè Romano mi invitò ad iscrivermi, nel 1969, all’Associazione nazionale Amici del Presepe. Quest’anno festeggio il cinquantesimo anno di militanza. Ho esposto in varie occasioni, anche in ambito internazionale, a Cracovia ad esempio. Con il tempo ho superato il desiderio di riconoscimenti e premi. Ho iniziato ad esporre nelle chiese e solo nelle chiese, senza firmare le mie opere, perché per me il presepe è arredo sacro, ed è dono a Dio da parte dell’atrtista presepista. Ed i doni non si firmano. E non li vendo nemmeno: non ho mai fatto commercio dei miei lavori e se mi sono separato da qualcuno di essi, l’ho fatto sempre e solo in cambio di beneficenza.”
“Come saluti i lettori di Cultura a Colori al termine di questa lunga chiacchierata?”
“Con un piccolo bilancio della mia vita fino a questo punto. Io mi sento molto fortunato. Grazie alla buona sorte ed alla volontà di Dio, ho incontrato persone fantastiche, ho conosciuto mia moglie Maria, ed ho avuto una famiglia meravigliosa che mi ha riscaldato al fuoco dell’amore vero. Ho avuto tre figli che sono una vero dono della Provvidenza, ognuno con una virtù preponderante, come i tre doni recati dai Re Magi: Vito è l’oro, Luca l’incenso e Giusi la mirra. Io penso a tanta felicità come ad una ricompensa di Dio a ricompensa della mia attività presepiale.”
Ringraziamo e salutiamo Pasquale Cirillo per questa lunga intervista concessaci, invitandovi, ancora una volta, ad ascoltare l’intervista integrale in podcast al link riportato in apertura. A voi tutti un caro saluto ed a presto dal vostro Antonio ‘Marco’ d’Avino,
Immagini di Juna Lieto/Profilo Facebook di Pasquale Cirillo