Dietro tutta: al Serra una graffiante fotografia satirica dell’Italia contemporanea
Si può parlare di temi delicati e drammatici ricorrendo allo strumento del sorriso, come ci insegna la leggerezza delle Lezioni americane di Calvino? Mauro Palumbo – coadiuvato sul palco da Mario Cangiano, Sara Guardascione e Pietro Tammaro con le scenografie di Cristina Zanoboni – ne è la dimostrazione.
Riesce in uno spazio temporale relativamente breve – in maniera aperta, coraggiosa e manifesta – a descrivere la condizione dell’Italia contemporanea.
Le quinte sono quelle del Teatro Serra, piccolo spazio off situato a Fuorigrotta, centro propulsore di cultura per il quartiere e la città. Lo spettacolo Dietro tutta tornerà in scena stasera, sabato 15 febbraio alle 20:00 e domani, domenica 16 febbraio alle 18:00.
La riflessione al centro dello spettacolo – dai graffianti toni satirici – riguarda la gestione del potere, che “colonizza” anche le relazioni tra le varie identità in gioco. Identità di genere, identità etniche, identità territoriali, identità culturali.
La vicenda si svolge tutta all’interno di una casa in cui abitano il generale Roberto e sua moglie Georgie, quasi che lei sia un un cartone animato, il riflesso edulcorato e poco credibile di un “non tempo”.
Questa donna in carne e ossa – a tratti macchiettistica negli atteggiamenti, le espressioni e la voce stridula – per assecondare la volontà del marito si è trasformata nella grottesca pantomima di una serie di valori tradizionali che smentiscono e ripudiano le conquiste del movimento femminista, come evidenzia l’autore e regista Mauro Palumbo.
Giorgia/Giorgie passa le giornate a pulire la casa in maniera ossessivo – compulsiva da ogni macchia che ne turbi il niveo candore immobile e a giustificare le restrizioni di vita a cui la condanna il marito, evidenziando che il coniuge è una mente giusta, capace e illuminata e sa molto bene quel che fa.
Roberto – che il suo interprete definisce cinico e distaccato emotivamente ai limiti dell’anaffettività – trascorre le ore, cercando di opporsi in maniera strenua al cambiamento in atto e alla commistione di usi, costumi e lingue.
L’unica prospettiva che riesce a immaginare e a tollerare è quella di un cambiamento conservativo, rivolto esclusivamente al passato in chiave nostalgica.
A ben vedere – come evidenzia l’autore della commedia – il suo è anche un tentativo di difendere un’identità maschile che sta andando in frantumi.
La sua opposizione a qualunque differenza è così estremista da non riuscire a risultare davvero raccapricciante, bensì grottesca e anacronistica.
Di fronte a una vita monotona, cristallizzata in un loop e eterodiretta, cioè decisa e orchestrata dall’alto, Giorgia è presa dalla paura costante di sbagliare, di non rispondere alle altrui aspettative, di non risultare adeguata.
Un terrore che si traduce in una sudditanza psicologica – come evidenzia Sara Guardascione, che le conferisce le fattezze – e cerca, in qualche modo di evadere, anelando a un piccolo angolo di libera scelta e di autodeterminazione e intraprendendo il suo personale “viaggio dell’eroina”, come ribadisce anche Palumbo.
È proprio questo che innesca la miccia dei fatti che seguiranno.
Nella sua casa, infatti, irrompe Gigino Esposito, fiero esponente della cultura meridionale, in cui Pietro Tammaro è riuscito a calarsi tramite un processo di immedesimazione legato al metodo creato da Lee Strasberg, attingendo a piene mani alla memoria emotiva e all’ascolto attento e partecipato delle anime multiple, delle sonorità e delle musicalità dei luoghi . Il suo personaggio è carnale, nel senso più autenticamente partenopeo del termine. È estroverso, comunicativo, avvolgente nelle parole e nei modi, con la sua costante ricerca di contatto fisico e tattile.
Un’invasione di campo che genera in Roberto la volontà di attuare un’epurazione con vari metodi, più o meno paradossali e surreali. Ma ciò che più teme torna sempre, in un loop divertente e paradossale insieme.
Il suo agire imprudente lo esporrà alla ricattabilità e questo porterà a un doppio avvicendamento di potere, reale e potenziale.
Un cambiamento non indolore per lei, che per essere destinataria e custode della “valigetta del potere” è costretta a mascolinizzarsi, metamorfosi rappresentata dai capelli che da fluenti e lasciati liberi sulle spalle, vengono raccolti e “ingabbiati” in una coda, mentre gli abiti sgargianti vengono abbandonati a favore di una sobria tenuta di ordinanza dai colori smorti.
Il cambiamento auspicabile, invece – come spiega il regista – sarebbe rappresentato da un Sud che si faccia guida dell’Italia, consapevole del proprio bagaglio culturale e orgoglioso delle proprie tradizioni, mai rinnegate, e delle proprie potenzialità.
Il tono è sicuramente divertente e divertito. “Peperino”. Riesce persino a giocare sugli atti criminosi, facendone sberleffi, come sottolinea Cangiano, muovendosi a mo’ di un equilibrista sulla corda di un funambolo che cammina tra il cinismo e l’ironia.
I registri stilistici sono leggeri. L’azione è veloce e ritmata. Lo strumento della satira – perfettamente incarnata e agita dagli attori – riesce a far sorridere, ma anche a far riflettere in maniera molto amara.
L’azione è rapida e concitata. Il possibile avvicendamento di potere viene fatto intravedere nel passaggio della valigetta dal Generale a Giorgia, che è riuscita a sovvertire lo status quo – la donna presidente, cristiana e mamma, che diviene, richiamando le parole di Sara, “un tiranno sua volta” – e da Giorgia a Gigino, sul finale.
Un passaggio di consegne non più basato su un credo monolitico, ma su un meltingpot di idee che guardano al futuro e non al passato, senza ripudiare la cultura di un territorio e le sue radici identitarie, ma in dialogo con le altre identità, all’insegna di una contaminazione non solo possibile, ma anche auspicabile.
Adesso lasciamo la parola ai protagonisti.
D. Mauro, la tua è un’opera coraggiosa. In controluce è possibile leggervi un elogio delle caratteristiche femminili. Tu che lo hai scritto come la descriveresti?
R. Fare teatro è anche un atto di coraggio, quindi trovo naturale schierarsi. Anzi, nei periodi difficili lo considero necessario. La commedia vuole essere un elogio ai valori femminili. Nella costruzione del personaggio di Giorgia, mi sono lasciato ispirare da un libro che ho trovato illuminante: “Il viaggio dell’eroina” di Maureen Murdock. In questo saggio che rappresenta la risposta a “il viaggio dell’eroe” di Chris Vogler, l’autrice sottolinea il fatto che una donna, per avere successo nella società di oggi, debba identificarsi coi valori maschili (il padre) negando e distaccandosi da quelli femminili (la madre), additati come deboli. Il personaggio di Giorgia si spinge anche oltre, arrivando ad azzerare tutte le conquiste che il movimento femminile ha ottenuto in anni di lotte. E per affermarsi, per arrivare in cima è costretta ad affermare i soliti valori maschili, additati come virtuosi, affidabili, solidi. Personalmente, pur essendo uomo, credo che il modello maschile sia così in crisi, che si reinventa maschilista per scongiurare l’estinzione, e che i valori femminili siano l’unica speranza che ha questo mondo per Giorgia è un personaggio infelice anche se è diventata generale, perché ancora non ha capito che deve ricongiungersi con i valori della grande madre e con il divino femminile.
D. Cosa rappresentano e come si relazionano tra di loro i personaggi maschili?
R. I due personaggi maschili possono sembrare a prima vista personaggi stereotipati, ma rivelano nella storia la loro tridimensionalità. Quando parlano il loro linguaggio spazia tra il “detto”, il “non detto” e “l’indicibile”. Il personaggio di Roberto, il generale, rappresenta come sia inutile, nella odierna società multiculturale, l’idea di concepire una barriera al sano mischiarsi delle idee, delle tradizioni, delle culture, e di come sia vano ogni tentativo di annientare il diverso. Il personaggio di Gigino Esposito rivela, oltre la maschera apparente, una cultura antica, feconda e fiera, ma che è sempre pronta a uscire dal guscio e viaggiare, per evolversi ed espandersi. Il finale, in cui finalmente Gigino conquista la valigetta “del potere”, rappresenta la speranza di una luce per il nostro Paese, alla fine di un lungo tunnel con un’angosciante curvatura a destra.
D. Mario, come hai costruito il tuo personaggio? Come il tuo modo di essere si rapporta al suo?
R. Per interpretare il ruolo di Roberto, distante da me, per connotazioni sociali, intellettuali e soprattutto emotive, sono partito dal distacco, dal cinismo che questo personaggio possiede. Ho cercato, insieme a Mauro, di lavorare sul distacco emotivo, che non mi appartiene minimamente, così da poter risultare freddo nei confronti della moglie, ai limiti dell’anaffettività, che ovviamente ha bisogno di mostrare per essere un uomo ideale del “cambiamento conservativo”. Il lavoro che abbiamo cercato di restituire sta nel non empatizzare con gli atti criminosi che commette, nei ripetuti omicidi, ma anzi di giocarci su, come su una corda di un funambolo che cammina tra il cinismo e ironia.
D. Sara, com’è la tua Giorgia? C’è qualcosa che vi accomuna?
R. Nella costruzione di un personaggio, il lavoro che provo a fare è sempre quello di mediare tra mondo “esterno” e “interno”. Le richieste di Mauro sono state da subito molto precise e specifiche e mi hanno molto facilitato nel processo. Cosa c’è di Giorgia in me e cosa posso trovare fuori? Di certo nella mia vita, come tutti, ho provato paura. Paura di essere inadeguata, paura di sbagliare, paura di non rispondere alle aspettative. Estremizzando per la scena questo mio sentire, ho costruito il rapporto con Roberto, che è mosso da un’estrema paura che si trasforma in sudditanza psicologica. E gli esempi nel quotidiano di questo tipo di rapporti sono ancora troppi, ahinoi. La reazione a tutto questo è un desiderio di evadare (le relazioni extraconiugali con i vari Gigino, che sono l’antitesi del marito) o di sovvertire il gioco del potere utilizzandone gli stessi strumenti, come i soldati con le matricole, come il maiale Napoleon che ne “La fattoria degli animali” si sostituisce a Jones e diventa tiranno a sua volta. Ovviamente ho dovuto attingere al mondo esterno (e avevo in mente un esempio ben specifico!) anche per quel che riguarda l’accento e la voce del mio personaggio, che diventa più calda, profonda, e “maschile” nella fase finale. Perché in un mondo — e in un partito — maschilista e tradizionalista una donna che comanda con una voce acuta è inammissibile.
D. Pietro, quanto ti rispecchia il personaggio di Gigino e come ti sei immedesimato in lui?
R. A dire il vero ben poco. Per essere come lui, o per meglio dire per trasformarmi in lui – ho sposato il metodo strasberghiano. La mia trasformazione è stata innanzitutto estetica. In prima battuta, sono andato in un mercato della Coldiretti, per vedere come si veste, tipicamente, chi ha uno stand di prodotti tipici. Poi ho lavorato sul linguaggio. Non volevo che Gigino rappresentasse solo una generica Napoli, ma tutta la Campania e il Sud. Quindi mi sono recato in territori come Pozzuoli, Castellammare di Stabia e Torre Annunziata, per immergermi nelle sonorità e nelle musicalità dei dialetti del Sud, che ho impastato per creare il suo peculiare idioma. Ho scelto di ingentilire il personaggio rispetto a come era stato pensato e scritto. Una gentilezza che si esprime soprattutto nel rapporto passionale con Giorgia. Alla fine lui rivelerà di aver frequentato il liceo classico e quindi di possedere una cultura molto più ampia e avvertita di quella che il suo contesto attuale lascerebbe presupporre. Solo in seguito ha deciso di creare una piccola azienda agricola di prodotti tipici.
Ph. Simona Pasquale
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