Etnoragù: il dialogo interculturale è servito. Il corto candidato al David di Donatello
Il corto Etnoragù scritto e diretto da Cristiano Esposito è ufficialmente candidato al premio David di Donatello ed è incredibile come in un lasso di tempo narrativo relativamente breve sia riuscito a condensare una serie di riferimenti geografici, culturali, antropologici, sociologici ed enogastronomici che parlano della Napoli più autentica.
A mostrarne i vari volti e a mettere in dialogo i vicoli della città con altri paesaggi simbolo della Campania, come per esempio l’isola di Procida. A incantare è la capacità di raccontare i luoghi e chi li abita in maniera fluida, mai forzata o didascalica, trovando l’incastro giusto.
L’espediente narrativo è quello di un amore interetnico.
Il racconto, immaginato per il Forum delle Culture del 2013, è la storia di un incontro-scontro tra Napoli e la Palestina, che deride tutti gli stereotipi.
Girato tra la città e Procida, prodotto dalla Cooperativa Ar.TuRo e finanziato da Regione Campania, Film Commission Regione Campania, POC Campania 2014-2020, Coldiretti Napoli, Teatro Serra, Procida Wi-Fi e Lega Navale.
Una giovane archeologa si innamora – ricambiata – di un collega più grande di lei appartenente a un’altra cultura e a un’altra confessione di religiosa.
Siamo di fronte a dialogo tra variabili culturali che a volte vengono giustapposte.
Il simbolo di questa diatriba è proprio un’icona della tavola tradizionale partenopea, della convivialità e della famiglia che si riunisce attorno al desco.
Il racconto per immagini riesce in pochi minuti a rendere in maniera efficace il conflitto interiore di un padre che vorrebbe mantenere viva la tradizione ma che – anche grazie alla mediazione della madre – cerca, seppur con molte perplessità, di comprendere gli altrui perché.
Entrambi – nonostante le incomprensioni e le difficoltà – incarnano il tentativo sincretico di chi cerca di trovare elementi di raccordo tra diversi mondi e tra differenti sistemi di pensiero nel tentativo di andarsi incontro.
Se la madre – interpretata da Stefania Ventura – cerca di convincere il marito che le tradizioni si possano anche innovare; il padre – cui dà le fattezze Salvatore Misticone – si ostina a rimanere fedele alla classicità e cerca di introdurre furtivamente il ragù al matrimonio dei due.
Tra atmosfere sapientemente costruite che giocano con gli stereotipi e i pregiudizi per decostruirli con leggerezza e saggezza antiche, si giunge al finale divertentemente riconciliatore, in un connubio di sapori, tra ragù e cous cous, che fa contenti tutti… o quasi…
Sembra di sentir riecheggiare i motti di Eduardo De Filippo con il suo caffè ” che pare una cioccolata o una ciofeca” che da sempre fa famiglia e qualche decennio dopo le parole di suo figlio Luca che decanta i benefici dell’acqua, fonte di vita.
La parola ai protagonisti: Salvatore Misticone, Stefania Ventura, Pietro Tammaro, Amedeo Colella, Carolina Infante, Alessandro Incerto e Mauro Palumbo.
Completano il cast: Tommaso Scotto di Uccio, fotografia Francesco La Muro, sonorizzazione Alessandro Massa, assistente alla regia Vincenzo Fortunato, cameramen Paolo La Muro e Luigi Esposito, scene Michele Lubrano Lavadera, costumi Patrizia Barone, trucco Ilenia Lubrano di Marzaiuolo.
L’Intervista a Cristiano Esposito (sceneggiatore e regista) e Simona Pasquale (ufficio stampa)
D. Qual è stata la scintilla per realizzare questo corto?
R. È un’idea che parte da lontano: immaginato, nella prima stesura, come un documentario da presentare al Forum delle Culture, è diventata una fiction durante una pausa pranzo negli anni in cui collaboravo alla cattedra di Scritture e Poetiche all’Università Suor Orsola Benincasa. Io e il mio mentore, Alberto Folin, eravamo alle prese con un piatto di “polipetti affogati” quando, un po’ per scherzo e un po’ sul serio, affermai che un popolo che cucina il pesce con la cipolla non poteva definirsi “civile”… Ovviamente, Alberto sorrise a quella affermazione promettendomi che mi avrebbe fatto assaggiare il “saor”: ma da quella chiacchierata nacque la consapevolezza di quanto le radici gastronomiche siano forti e profonde, spesso irrinunciabile. Così, tassello dopo tassello, dopo 13 anni la versione definitiva è stata accolta dalla Film Commission Campania.
D. Come avete scelto il tema?
R. Hanno certamente influito gli studi antropologici, le letture di Levy – Strauss e la sua affermazione nel sostenere come le osservazioni dei fenomeni Umani vadano effettuate nei “punti di snodo”: il cibo e le sue tradizioni sono certamente uno di questi incroci. La modalità narrativa è incentrata sull’uso di cliché su Napoli, la sua cultura e i suoi abitanti, che riteniamo non possano rendere la complessità di una città articolata e proteiforme.
D. Partite da testimonianze reali?
R. No, la storia è avulsa da qualsiasi riferimento a persone e fatti reali (si dice così, no?!)
D. Ci raccontate genesi ed evoluzione?
R. Etnoragù è fedele al suo titolo, anche nella sua genesi e gestazione: le suggestioni, gli elementi che la costituiscono, sono stati introdotti in una sorta di pentolone e cotti a fuoco lento (anche lentissimo, considerati i 13 anni passati dalla prima stesura). Un passo importante è stata la costruzione del team, con persone motivate sia nel cast artistico che in quello tecnico. Ognuno di loro ha scelto di aggregarsi alla squadra solo dopo aver letto la sceneggiatura: per noi era importante che si condividessero i punti salienti del progetto.
D. Che progetti avete per il suo futuro del corto? E per voi come team?
R. Al momento, il corto sta girando il mondo nei Film Festival e su piattaforme: il nostro obiettivo è sviluppare questa storia per rendere al meglio alcuni aspetti psicologici che, vista la natura del prodotto, non sono potuti emergere quanto volessimo. Noi… stiamo già lavorando ai prossimi progetti, in Italia e in Europa.
D. Quale parte di voi è confluita maggiormente in quello che naturalmente è un patchwork di emozioni e competenze?
R. La passione per il nostro lavoro, per le storie in cui le persone possano riconoscersi e che riescano, magari con un sorriso, rappresentare un’epoca e le tensioni principali che l’attraversano. Pur nell’essenzialità di un racconto filmico breve, Etnoragù offre molteplici piani di lettura, in cui quella che si mettono in gioco, non sono le grandi questioni geopolitiche, ma i riti e le abitudini quotidiane che scandiscono e costruiscono una vita.
D. Qual è il riflesso della vostra anima che ha trovato spazio e casa nel progetto?
R. È sicuramente un’anima di ricerca e di osservazione della realtà che condividiamo, pur da fronti diversi della scrittura, lui come sceneggiatore e io come giornalista.