Buonasera a tutti: Peppe Barra incanta il pubblico al Teatro Sannazaro
Buonasera a tutti – dai miei disordinati appunti, di e con Peppe Barra, di scena al teatro Sannazaro viene accolto con un tripudio di entusiamo e condivisione. Sul palco, accanto all’attore, Luca Urciuolo al pianoforte.
Peppe Barra ripercorre alcuni momenti della sua vita privata e attoriale. Lo fa in maniera intima, con un sorriso malinconico e con la nostalgia che si riserva all’infanzia e ai momenti belli.
Roma: i primi anni vissuti cullato dall’eco dello sciabordio della fontana di Trevi. Il ricordo del parato a papaveri rossi, come rosso è il berretto che indossa, a ricordare il suo colore preferito. Il trasferimento a Procida. La vita divisa tra la grande città e lo scoglio che sorge dal mare, con la casa antica, o vecchia che dir si voglia, che aveva dato i natali alla madre. La spola a bordo del vaporetto.
il giorno del compleanno dei suoi dieci anni, il 24 luglio 1954, nella casa incastonata tra i palazzi nobiliari in Vico Vasto a Chiaia, attorniato dall’affetto confortante della madre, del padre, dei fratelli, dei nonni e della vicina di pianerottolo con la cioccolata calda e biscotti fatti in casa.
Questi frammenti di vita si mescolano ai ricordi sull’atmosfera di Napoli degli anni ’50 Un’atmosfera che lui definisce folle, sensuale, colta e che trova la massima occasione di esprimersi, coinvolgendo nella sua effervescenza un intero popolo, nella festa di Piedigrotta.
ll fascino esercitato dal teatro dei burattini, le guarrattelle, che gli fanno venir voglia di essere anche lui attore.
I primi passi in una scuola di teatro, gestita dalla sua maestra delle elementari, Zietta Liù, che era anche una nota scrittrice, chiamata la Montessori napoletana.
I frizzi, gli sberleffi, gli ammiccamenti, la mimica, le variazioni dei registri vocali, gli permettono di raccontare in maniera verace, a tratti ironica, e mai banale, l’anima di una città e di un popolo.
L’arte del far teatro, di giocare con la voce, le parole e la musica, frutto di una profonda esperienza, ma anche della capacità di non perdere quel brio, quel divertissement, che rende ogni rappresentazione un unicum.
Barra condivide con il pubblico, a quasi 80 anni, un’energia vulcanica che farebbe invidia a chiunque.
Per ricordare la lotta alla violenza di genere intona la sua versione di Tammurriata Nera, nacchere alla mano.
Un rito esorcistico dal carattere etno – antropologico e dalla funzione apotropaica, per scacciare l’orrore di una guerra, ma anche di reiterate violenze, di vili inganni, di promesse non mantenute e abbandoni preannunciati.
L’amore per un quartiere, per un’isola, per una città, ieri, oggi e sempre.
La nostalgia per la madre, grande compagna di palcoscenico e affetto profondo che lui rievoca anche grazie all’immagine che sovrasta il palco.
Il pubblico ride, lo acclama, lo applaude, catturato dalla sua energia, che passa come un turbine attraverso le canzoni, i racconti personali, per poi gettare lo sguardo sui cunti popolari di Basile o sulla vicenda triste di Aitano, un femminiliello napoletano ribattezzato Catena, che porta con sé tutto il dolore di un’epoca in cui nascere “sbagliato” era una tragedia per le famiglie e dove l’unica possibilità residua per sopravvivere era fare la vita di strada, finire sfruttati e malmenati, mendicanti d’amore.
Una storia truce di dolore e sfruttamento che, come quella che racconta la violenza di genere, non è purtroppo ancora declinata al passato remoto, nonostante i decenni di lotta continuino ad accumularsi.
Il volto ridente, illuminato dal senso di appartenenza a un mestiere che non è solo tecnica, ma è soprattutto passione e amore profondo. Quello che lui ha profuso in tutta la sua carriera, di cui non ripudia niente.
L’attore è abituato a vestire i panni altrui; a nascondere i proprio i moti dell’animo; a fingere di essere qualcun altro. Quella modalità di sentire e quell’agito gli resta attaccato addosso per tutta la vita. Un tentativo, a volte goffo, di proteggere il suo cuore dalle delusioni.
Il resto lo fa la malinconia per il ricordo sempre più polveroso e distante di amori passati, per le illusioni, per le emozioni negate.
Per questo Peppe Barra, a un certo punto, veste la maschera di Pulcinella, la stessa che indossa il burattino che pende dal soffitto: nera come la Tammurriata che intonerà dopo. Intorbidata dal dolore e dalla rabbia. Volta a celare i reali sentimenti, a mo’ di scudo, ma anche a esprimere l’identità di un popolo che è stato spesso costretto a chinare la testa, avvezzo all’arte del compromesso.
L’ultimo tributo è ai suo compagni di squadra: il giovane regista Francesco Esposito e il Maestro Luca Urciuolo, che lo accompagna e supporta lungo tutta la performance. Regala assoli intensi, che danno a Peppe Barra il tempo di riprendere fiato e di cambiarsi d’abito.
Il pensiero di questo maestro di vita e di teatro, che prende in giro anche i malanni, va anche ai meno fortunati, i bimbi ospedalizzati.
Con autenticità, generosità e altruismo esorta, infatti, a lasciare un obolo all’associazione che si occupa di riportare il sorriso in ospedale ai più piccoli.