In-sanità: un grido di dolore contro la rassegnazione
In-sanità.
Un appello a non arrendersi alla rassegnazione e al lassismo e a ritrovare quello spirito di legittima indignazione individuale e collettiva.
Lo spettacolo – in scena anche stasera, domenica 27 marzo alle 18:00, al Tram di Port’Alba, narra le vicissitudini di Pietro (Fusco) che si reca a fare una visita cardiologica . Da lì, tra personaggi grotteschi, assurdi, paradossali, un campionario di vasta umanità a volte buffa, si disvelerà via via il suo dramma.
“La nostra non è un’accusa indiscriminata verso tutta la sanità e la pubblica amministrazione – sottolinea Peppe Romano, che ha collaborato alla scrittura del testo e lo interpreta quale unico attore sul palco – che tanto ci sta dando, ma verso quella parte in-sana che non si limita a sporadici disservizi – cui si rivolgono le classiche lamentele da fermata dell’autobus – ma è responsabile di vite rovinate”
Il monologo è tratto da una storia vera, quella di Pietro, appunto, che un giorno, in maniera del tutto inaspettata persino per i suoi amici più cari che non ne sapevano nulla, dà sfogo al suo dolore attraverso un lungo post su Facebook, dove usa toni mordaci, dissacratori, arrivando persino alle bestemmie.
E il personaggio in scena è così: osserva quel teatrino di rara umanità, sembra accettarne le angherie, ma dentro di sé lo critica aspramente, in un crescendo che condivide con il pubblico.
“In questo modo – spiega Katia Tannoia, regista, ma anche psicologa e psicoterapeuta – il dialogo interiore viene esteriorizzato e condiviso. Il pubblico non può non provare empatia per Pietro. Lui è la vittima – a volte lo sottolinea anche troppo – e anche loro forse si sono trovati in situazioni simili che generano rabbia e tristezza. Il mio è un ruolo di pulitura, per far emergere il più possibile la verità emotiva della vicenda e per far sì che l’empatia iniziale non si trasformi in viva antipatia a causa di un crescendo di battute dissacranti, a volte di stampo sessista e razzista, che Pietro usa come maschera per nascondere e tutelare le sue fragilità”.
Ma il dramma è tutto lì, appena sotto la superficie, pronto ad essere toccato, in quanto vivo e palpitante: quello di un bambino che, a causa di un intervento di appendicectomia, svolto con incuria e superficialità, ha sviluppato un’infezione cardiaca, che ha cambiato tutto il corso della sua vita: niente più sogni, né corse in bicicletta, né calci al pallone per quel piccolo di otto anni, poi diventato adolescente e giovane adulto.
Quando il grande professore glielo rivela Pietro è incredulo: pensa di essere su Scherzi a parte, vittima di una burla di cattivo gusto.
Invece è tutto vero. Ma nemmeno allora riesce davvero a indignarsi con il responsabile, a reclamare i suoi diritti negati, a gridare il suo dolore. La sua è, piuttosto, un’implosione, un rancore muto.
“In questo monologo per i primi 53 – 54 minuti non ne sento la fortissima carica emozionale. Anzi, il crescendo di battute mordaci mi stimola a livello intellettuale e interpretativo. Ma gli ultimi minuti, in cui si condensa il dramma di tutta una vita, sono una vera coltellata, sia per me sia per lo spettatore”.
Il dolore del protagonista si mischia a quello di sua madre – che assurge a dolore universale. Una madre che teme per la vita del figlio. E anche qui sta a Katia conferire alla narrazione uno sguardo più intenso e delicato.
“Noi speriamo di dare voce – evidenziano Peppe e Katia – proprio a quelle persone ammutolite e annichilite, affinché ritrovino la voce per ribellarsi e per reclamare i loro legittimi diritti”.
Proprio nella giornata dedicata al teatro, questo linguaggio rivela, una volta di più la sua carica narrativa e emotiva, che veste i colori della denuncia sociale.
“I mass media – dice Peppe – raccontano il fatto di cronaca, ma il lettore rischia di diventare uno spettatore passivo. Il teatro, invece, riesce a far immergere totalmente nell’atmofera di quella sala d’attesa, come se anche il pubblico fosse lì, smuovendo emozioni e generando empatia”.
Ph. Nina Borrelli