Le gallette di Castellammare: antichi biscotti dei naviganti
La storia li fa risalire al periodo Borbonico, ma sono ufficialmente datati al 1848, quando i fratelli Giovanni e Francesco Riccardi, proprietari dell’omonimo biscottificio di Castellammare di Stabia, li inventarono e diedero loro la forma classica: quella di un sigaro cubano.
I biscotti di Castellammare divennero famosi per la loro resistenza al tempo e ai climi, considerato che parliamo dell’epoca in cui velieri e mercantili affollavano il porto e si rifornivano di Acqua della Madonna e di “gallette”, prima di intraprendere lunghi viaggi. Da quelle gallette “di lunga durata”, senza sale e quasi immarcescibili, si passò poi a quelle dolci e successivamente ai biscotti che ancora oggi conosciamo.
La loro ricetta era segreta, e intorno ad essa si è sviluppata una leggenda che si tinge di giallo. Si dice, infatti, che nel 1941, Donna Concetta Riccardi, figlia di Francesco ed erede del già famoso biscottificio, non avesse voluto venderla a nessun costo, e (forse) per questo morì avvelenata. Prima, però, riuscì a confidarla al nipote Mariano, che la tramandò di padre in figlio, e poi ai nipoti, fino ai giorni nostri.
Il biscotto di Castellammare oltre che nella tipica forma di sigaro, è da sempre prodotto anche nella variante a forma di ciambellina ricoperta di glassa bianca: i “nasprini”. Il loro successo sta sicuramente nella genuinità del prodotto, i cui ingredienti sono le migliori qualità di farina 00, zucchero, vaniglina e burro, impastati e sottoposti a lievitazione naturale, grazie al “criscito”. Anche la confezione che racchiude i biscotti è rimasta pressoché la stessa, nella tradizionale carta gialloblù, che riproduce i colori del gonfalone comunale.
Secondo la tradizione, i “sigari” si mangiano inzuppati nell’Acqua della Madonna, l’acqua la cui sorgente si trova sempre a Castellammare, che proprio per le numerose sorgenti d’acqua sparse nel suo territorio è anche detta “città delle acque”. Per questa sua caratteristica era già conosciuta nel I secolo d.C. quando Plinio il Vecchio, nella sua Naturalis Historia, scriveva di un’acqua particolarmente benefica, chiamata “Media”, consigliata soprattutto perla cura della calcolosi.
Oltre alla Media, sono numerose le acque che sgorgano ancora oggi dal terreno stabiese: l’acqua acidula, indicata per facilitare la digestione; l’acqua ferrata, consigliata per coloro che soffrono di malattie debilitanti; le acque muraglione e sulfurea che hanno un’azione purgativa; l’acqua magnesiaca, raccomandata per chi soffre di coliti spastiche. Alcune acque vengono imbottigliate e commercializzate come Acqua della Madonna, che ha un’azione diuretica e dissolvente per i calcoli renali, ed è naturalmente effervescente, limpida, incolore e inodore, con un sapore leggermente acidulo.
Essa deve il suo nome da una sorgente scoperta nel 1841 nei pressi della Chiesa di Santa Maria di Porto Salvo, situata nel Centro storico, di proprietà della Congrega dei marinai. Il complesso religioso era stato costruito sui ruderi di una chiesa edificata nel 1580 in onore della Madonna di Porto Salvo, poi demolita circa duecento anni dopo, per fare spazio ai cantieri navali di Castellammare. Poiché, grazie alle sue proprietà, l’Acqua della Madonna mantiene inalterate nel tempo le proprie caratteristiche organolettiche, veniva utilizzata dai naviganti che si apprestavano a intraprendere lunghi viaggi. Prima di imbarcarsi, i marinai facevano grandi scorte d’acqua, prelevandola direttamente dalla fonte che si affacciava sul mare: per questo motivo, era chiamata anche “acqua dei Naviganti”.