Un anno all’insegna dell’isolazionismo. Ciao, ciao 2017!
Caro diario,
analizzare i fatti accaduti in questo rigido dicembre è un po’ come scrivere di processi che hanno accompagnato tutto il 2017. Essendo un mese particolare, l’ultimo dell’anno, è meglio soffermarsi poco su quanto avvenuto e molto, invece, su ciò che avverrà nel 2018, presumibilmente.
Impossibile non partire dalla parola “isolazionismo”. Negli anni ’60-’70 dello scorso secolo entrava a prepotentemente in uso la parola protezionismo, che tornava di moda dopo il periodo che aveva preceduto le due guerre mondiali. Negli anni di mezzo del 1900, però, si ergevano dispotici contrasti: liberismo, più avanti neoliberismo, un prototipo di globalizzazione, operatività ed allargamento delle comunità sovranazionali (Ue, Opec) e di sistemi intergovernativi (Onu, Nato, etc). Ad oggi sembra essere tornati al 1800: prevalgono la separazione, la dissidenza, il nazionalismo, il protezionismo ed il “meglio soli che male accompagnati”. In una sola parola: isolazionismo.
Lo ha dimostrato un uomo, un imprenditore, eletto come Presidente degli Stati Uniti d’America, Donald Trump. Patria di contrasti e contraddizioni, un continente (più che una nazione) che ha esportato modelli di vita, costumi, idee e tecnologie in tutto il mondo. Magari qualcun altro le inventava, ma gli Usa li lanciavano e così nel giro di pochi anni si è passati dalla “diminuzione delle armate americane in giro per il mondo” di Barack Obama ad un “il mondo ci chiede un maggiore impegno militare” di Donald Trump. Aumentano anche gli interventi: bombardamenti in Siria e politiche di hard power, mentre la Russia recita la parte della finta paciere.
Così Trump voleva che i dissidi aumentassero (perché in fondo bisogna dar linfa all’industria statunitense della produzione di armi). Così si è dedicato a spostare la capitale dello Stato d’Israele (considerato europeo non si sa per quale folle interpretazione) a Gerusalemme, dove nel giro di due anni si trasferirà l’ambasciata americana che, è noto, sposta gli equilibri. Proprio nella città delle multiculture, venduta dagli inglesi e tenuta con la forza dagli ebrei. Un atto di terrorismo internazionale vero e proprio, altro che kamikaze. Per fortuna l’Onu si è opposto, e con gli Usa si sono schierati solo i Paesi che dagli States dipendono economicamente. Trump come ritorsione ha annunciato che taglierà i fondi.
E’ l’anno della Brexit, manco a dirlo l’isolazionismo torna prepotente. Mai come oggi la guerra fredda sembra combattersi Stato contro Stato, Nazione contro Nazione. Russia e Cina, dal lato della Crisi coreana, fanno i diplomatici ma se gli Usa prendessero una decisione estrema non accetterebbero certo un bombardamento nucleare ad uno Stato vicino, e quindi più che mediare minacciano implicitamente con un occhio sempre alla minaccia Isis.
Dunque tenendo conto dello scenario cosa ci aspetta nel 2018? Sicuramente è impensabile un repentino cambiamento di rotta. La lotta all’Isis continuerà almeno nella prima parte dell’anno, perché l’idea di un popolo arabo unito è, appunto, un’ideologia impossibile da sradicare con le bombe. Ci vorranno anni, ma di questo passo la lotta non finirà mai, né tanto meno quest’anno. La Corea del Nord entra, invece, in un bivio pericoloso: da una parte una guerra che non ha speranza di vincere, dall’altra una soluzione che creerebbe uno Stato fantoccio sotto la protezione della Cina o della Russia. In ogni caso l’influenza sul pianeta la terrà ancora l’America. Ormai gli Usa sono propensi a spaccare a metà tutte le forme di unità e comunità di intenti per marciare spediti verso l’obiettivo egoistico rappresentato dal guadagno. L’Unione Europea dovrà tutelare i cittadini, soprattutto quelli che attualmente risiedono nel Regno Unito e che a breve diventeranno Extracomunitari.
Non mi sono certamente dimenticato che in Italia si vota il 4 marzo 2018. L’ho tenuto alla fine, perché forse di tutti gli scenari possibili un vittoria dell’uno o dell’altro schieramento, rispetto a quanto accade nel mondo, non fa poi così paura.