Lettere a mia figlia: un’intervista a Giuseppe Alessio Nuzzo
Lettere a mia figlia nasce da una storia vera, da un dolore personale. Da sceneggiatura diventa cortometraggio e da corto forse diventerà molto altro. La storia raccontata è molto semplice: un padre scrive una lettera a sua figlia Michela. La sua penna però, probabilmente, sbanda un po’ e questo per effetto dell’Alzheimer. Giuseppe Alessio Nuzzo ha voluto descrivere nei suoi aspetti quotidiani la malattia e le sue conseguenze. Un lavoro permeato di verità che ruota attorno a un tema fondamentale che è la memoria.
Raccontare una storia non è semplice. Ancor meno lo è raccontare qualcosa di estremamente vero e ciò accade quando le parole scaturiscono dalla memoria. E’ proprio questo, forse, il nodo principale della storia che Giuseppe Alessio Nuzzo ha voluto raccontare con “Lettere a mia figlia”. La memoria emotiva è il punto di partenza della storia, intesa come ricordo di un’esperienza dolorosa realmente vissuta, mentre la memoria che vacilla, compromessa dalla malattia ma tenuta in vita dal sentimento, è il filo conduttore.
Giuseppe Alessio Nuzzo ha studiato medicina ma ha trovato ispirazione nel cinema. Ad oggi, a soli 28 anni, è fondatore e direttore del Social World Film Festival, menzionato tra le 10 eccellenze del cinema italiano a Los Angeles. I suoi docufilm, documentari e cortometraggi sono stati riconosciuti e premiati in diverse rassegne cinematografiche tra cui il Giffoni Film Festival. Con il corto “Lettere a mia figlia” ha vinto il premio Corti d’Argento ed è candiato ai David di Donatello.
Ma come si contaggiano e contaminano cinema e scrittura? Lo abbiamo chiesto proprio a Giuseppe che ci ha aperto una finestra esclusiva sul mondo della sceneggiatura.
“Mi sono occupato spesso della scrittura e della sceneggiatura dei miei lavori. Il 90% dei film è basato su un abbozzo dello sceneggiatore e del regista”-spiega Nuzzo- “Non si gira mai senza canovaccio, tutto deriva dalla parola scritta e scrittura e immagine sono correlate inesorabilmente”
E se la scrittura è inevitabilmente frutto di osservazione e suggestione non può che somigliare alla realtà. Quando però nasce da un ricordo al quale lo scrittore-sceneggiatore attinge, questa diventa verità.
Nuzzo racconta: “Il mio è un lavoro parzialmente autobiografico. Ho ampliato le emozioni reali che ho vissuto cercando di dare un’interpretazione anche grazie all’aiuto di scienziati ed esperti. Ho intrapreso un viaggio di sette giorni tra Gallarate, Milano e Brescia con una troupe di otto persone per sottoporre il mio lavoro agli esperti.”
Un lavoro di approfondimento scientifico la cui esigenza è data dalla volontà di rendere il più veritiero possibile il racconto perchè- “Oltre a limitare la memoria l’Alzheimer limita la capacità di scrivere e compiere le minime azioni quotidiane. Il (personaggio del) padre riesce a scrivere e descrivere la malattia fino a un certo punto per il degenerare della malattia. E’ necessario un fondamento scientifico.”
Ma analizzando l’evoluzione di “Lettere a mia figlia” è emerso un progetto più grande cui il cortometraggio è destinato. L’idea è quella di riportare alla proposta iniziale di docufilm una storia che ha ancora tanto ptenziale narrativo.
“Il progetto è nato come documentario realizzato durante il viaggio a Milano. Successivamente è stato pensato potesse essere reso più potente con una componente di fiction”
Lettere a mia figlia non si ferma alla fase della scrittura, va ben oltre traducendo il ricordo in parola e la parola in azione. Una magia, un senso onirico che solo la cinematografia e la recitazione riescono a creare. Tutto ciò è reso ancora più efficacemente quando regista e scenografo sono la stessa persona