Torna Otello al Tin: intenso, amaro, teso tra rispetto delle radici e contemporaneità
Otello, con la regia di Gianmarco Cesario, tornerà in scena stasera, sabato 25 e domani domenica 26 gennaio, nella suggestiva cornice del teatro Instabile di Napoli.
Uno spettacolo dove il contenitore – un antico ipogeo – arricchisce e fornisce un senso ulteriore al contenuto, in un dialogo davvero significativo, pregno di risonanze.
Una rappresentazione molto intensa e amara, che porta in scena il conflitto interiore di un uomo, che incarna un’epoca che non esiste più.
“Il tema della marginalità e del sentimento di estraneità al contesto circostante – evidenzia il regista Gianmarco Cesario – è da sempre al centro di tanta drammaturgia: Edipo, i protagonisti di “Nozze di sangue”, Medea, Otello, solo per citare le mie ultime regie, fanno i conti con il loro passato, con le colpe dei padri o, da un’altra prospettiva, con il contrasto fra la propria identità e quella dell’ambiente che li circonda“.
A fare eco alle parole del regista, quelle di Gianni Sallustro, che interpreta proprio Otello, che racconta come, nel 1604, all’indomani della morte della regina Elisabetta, con l’ascesa al trono di Giacomo I, il tempo a cui appartiene Otello è ormai tramontato.
Venezia, città di acqua, di religione e di scambi sancisce l’affermazione di una dialettica del compromesso e della manipolazione.
Otello rappresenta l’uomo d’onore e di parola. Al di là del suo aspetto che incute paura, è un eroe valoroso, che ha combattuto tante battaglie, ha riportato dei danni fisici che ne hanno alterato le fattezze, ma è rimasto fedele a sè stesso e alla propria etica.
Come ribadisce il suo interprete, per lui la parola rispecchia e descrive la realtà Per lui la guerra è guerra e colui che definisce un nemico è un nemico.
Invece Jago, interpretato da un magistrale Mario Brancaccio, non solo con le parole, gridate o sussurate da e con arte, ma anche con una sapiente gestione delle espressioni facciali e della prossemica, il rapporto con gli spazi scenici, rappresenta l’uomo moderno per eccellenza, manipolatore nelle parole, che vuole trasformare e plasmare la realtà piegandola ai suoi interessi.
Le apparenze spesso si rivelano ingannevoli: chi si proclama un fedele amico trama, invece, alle spalle, seminando odio e discordia.
Ed è proprio la parola a marcare la distanza tra i due antagonisti, come ribadisce Sallustro. Otello – uomo d’altri tempi – è lirico e si esprime attraverso la poesia. Jago parla in in prosa e diviene spesso prosaico. Volgare, insultante, dedito al turpiloquio, pronto a sottrarre agli altri e a ingannare.
Il triste paradosso è che, a volte – come fa notare il regista – il pubblico finisce per simpatizzante ed empatizzare con lui, i suoi ammiccamenti e le sue allusioni, che creano una sorta di malia, rendendo chi lo ascolta quasi complice delle sue macchinazioni e della sua prospettiva.
“Jago – ribadisce Gianmarco – riesce in qualche modo a rendere complice il pubblico. Gli confida i suoi motivi, li complicizza. Il giudizio nei suoi confronti in molti casi viene sospeso dagli spettatori che probabilmente empatizzano più con lui che con Otello. Shakespeare non denuncia, in questo modo, colui che è da considerare il male assoluto, ma ne mostra un lato umano, quasi simpatico”.
Otello è giusto e retto e mette la sua stessa vita al servizio del bene pubblico e dell’interesse collettivo.
Quello che colpisce – tra i tanti aspetti lodevoli di questa versione – è l’intensità interpretativa e il rinnovarsi del gioco di squadra tra attori di lungo corso e attori giovani e giovanissimi dell’Accademia Vesuviana del Teatro
Amicizia, passione per il proprio lavoro e costante espressione di una solida professionalità si combinano per dar vita a un risultato che coinvolge e sconvolge il pubblico, grazie a un consapevole lavoro sul linguaggio shakesperiano, non meramente semplificato, ma “scarnificato” e riproposto nella sua essenzialità, finanche nella sua estrema crudezza.
“Il linguaggio di Shakespeare – spiega Cesario – è multiforme, e i suoi traduttori spesso hanno non poche difficoltà e restituirlo. Io ho favorito una riscrittura moderna, che non concede nulla al lezioso: insulti, metafore estreme, evocazioni sessuali, sono tutte già nell’inglese originale, spesso edulcorato dai forbiti traduttori italiani, Non parlerei perciò di semplificazione, ma di essenzialità del linguaggio, che, naturalmente, arriva più diretto a tutto il pubblico“.
Una crudezza che viene amplificata dai costumi, dove prevale l’utilizzo dei toni del grigio e del nero, opera della maestria di Costantino Lombardi, che vengono trasportati, come spiega il regista, “dal medioevo al secondo Novecento per rafforzare l’ambientazione militare, un ambiente in cui il sessismo è tradizionalmente radicato“.
Protagoniste anche le luci fredde che caricano di ulteriore “spietatezza” l’atmosfera, dove – per una precisa scelta registica – nulla è altresì concesso al colore e alla frivolezza.
Gli attori si dividono la scena in maniera equa, alternandosi e esaltando il loro habitus caratteriale e caratteristico a vicenda, cedendo il passo al momento giusto, sostenendosi, moltiplicando le loro voci.
Ogni contributo – anche l’intervento scenico più piccolo, a mo’ di cameo – viene valorizzato ed è perfettamente incastonato nelle trame dell’ordito tessuto da Gianmarco Cesario, cui danno seguito Gianni Sallustro, Nicla Tirozzi, Mario Brancaccio, Peppe Carosella, Vincenza Granato, Simona Esposito e tutto il team in scena. La parola d’ordine è significatività.
La rivisitazione – rappresentata al Tin – riesce a rimanere fedele alle radici, ma anche ad attualizzarle.
Rende atemporale, ma anche contemporaneo, un racconto che di base ben si presta alla narrazione della violenza di genere.
Ancora una volta, però, non possiamo attribuire a Shakespeare una coscienza e una sensibilità avvertita, lungimirante e anticipatoria rispetto ai suoi tempi, come sottolineano Gianmarco Cesario e Nicla Tirozzi, che interpreta il Presidente.
“ll mio personaggio – racconta Nicla – rappresenta il potere massimo a Venezia. Un potere che è donna per eccellenza. Incarna la giustizia, in primis quella giuridica, che persegue l’interesse e il bene superiore della Repubblica. Il suo è un potere che è diviso e cerca di conciliare, non senza difficoltà, il cuore e la ragion di Stato”
Il paradosso, però, come evidenzia la sua interprete, è che questo personaggio riesca a ottenere un significativo potere, abdicado proprio al suo essere donna, alla sua femminilità.
Una condizione che vivono ancora oggi le donne che per ricoprire un ruolo di potere e di prestigio debbono mascolinizzarsi.
“Non a caso – continua Tirozzi – tutti mi chiamano il Presidente. C’è un processo di mascolinizzazione coatta sin dalla radici della grammatica italiana, che si rivela sessista. Il mio personaggio indossa esclusivamente abiti maschili e ogni sera ripete il gesto di legarsi i capelli, per non lasciarli sciolti e fluenti, proprio perché sembra che qualsiasi tratto, anche estetico, femminile mal si concili con un ruolo di potere, che sia quasi un abuso, un impudente affronto malvisto e da condannare“.
In scena le donne divengono protagoniste da prospettive multiple, promanando da sè mille sfumature e fornendo spunti corrosivi di riflessione sia immediati, sia a rilascio lento.
Pensieri che si allargano come cerchi nell’acqua, generando ulteriori analisi che si moltiplicano nel tempo, capaci di andare sempre più in profondità.
Da Desdemona, interpretata da una dolce e forte Vincenza Granato, donna ideale e idealizzata, fedele fino in fondo a sentimenti puri di amore e amcizia; a Emilia – cui dà corpo, intensità e anima plurisfacettata Simona Esposito – che è vicina alla sua padrona fino alle estreme conseguenze, ma che pure non sa sottrarsi, se non alla fine, alle macchinazioni del marito, di cui diviene incolpevole complice.
Emilia – così solidale con Desdemona – diviene accusatrice di Bianca, che ha l’unico torto di vivere in una condizione sociale diversa, che comporta regole e scelte diffenti, spesso sofferte. E’ proprio Bianca – cui conferisce forza e profonda dignità Paola Carillo – a ricordare alla sua interlocutrice, che si unisce al coro dei suoi detrattori, la loro comune appartenza di genere e a richiamarla a una legittima solidarietà, che, invece, viene violata.
Otello rimane comunque un uomo dei suoi tempi. Descrive il mondo circostante con i fenomeni che osserva, ma non denuncia e condanna la violenza. Paradossalmente è il virtuoso Otello – non Jago il manipolatore e cospiratore – a essere condannato.
Otello appare perfettamente integrato e riconosciuto a livello sociale, anche se ha un evidente conflitto interiore, molte insicurezze e un’ansia, una fame di appartenenza e di accettazione.
Grato e quasi incredulo dell’amore di Desdemona, cela molte fragilità e nervi scoperti, frutto delle sue cicatrici esterne e interne – una sorta di freak con le sue deformità , come ha scelto di rappresentarlo il regista – ma anche della notevole ed evidente differenza di età con la sua sposa.
Quella che è una sua virtù, specchio della sua purezza d’animo, cioè il credere negli altri e nella loro amicizia, nella fedeltà e onestà di chi lo serve, di chi lo affianca e lo supporta, diventa la sua debolezza.
” Otello – continua Gianni Sallustro – ha un unico valore cardine, sopravvissuto al tramonto del tempo cui appartiene: l’amore. Quando questo amore viene messo in dubbio e barcolla, tutte le sue certezze crollano e quindi vengono slatentizzate una serie di emozioni molto forti, in un turbinio che lo porterà a un atto indicibile, alla rovina, alla perdita non solo dell’altro da sè ma anche di sè stesso“.
L’opera si conclude con un vigoroso ed esplicito richiamo all’attualità, con una condanna senza possibilità di appello della violenza di genere. Con un incitamento alla presa di consapevolezza e al contrasto. A non voltarsi dall’altra parte, a non diventare consapevolmente o inconsapevolmente complici dei carnefici, sminuendo ciò a cui assistiamo. A essere solidali con chi subisce abusi e soprusi.
“Il popolo che rappresento in scena – rimarca Gianmarco – spesso ride, trovando il lato grottesco della vicenda. Ecco io credo che la complicità sia questa: sottovalutare ciò che sta accadendo sotto ai nostri stessi occhi”.
Una forte attualizzazione e presa consapevole di posizione che rappresenta un altro grande merito di questa interpretazione e della sua regia, che ha trovato tra le pareti del Tin, e del suo ipogeo, una casa accogliente, in grado di moltiplicarne la significatività.
Il team
Personaggi e interpreti:
Otello – Gianni Sallustro
Jago – Mario Brancaccio
Emilia – Simona Esposito
Presidente – Nicla Tirozzi
Brabantio – Peppe Carosella
Desdemona – Vincenza Granato
Cassio – Alessandro Cariello
Roderigo – Tommaso Sepe
Montano – Davide Cariello
Bianca – Paola Carillo
Lodovico – Enrico Annunziata
E con gli attori dell’Accademia Vesuviana del Teatro e Cinema: Raffaele Karol Avino, Nancy Pia De Simone, Noemi Iovino, Pasquale Saviano, Carlo Paolo Sepe, Rosa Vanese, Stefania Vella.
Regia e adattamento: Gianmarco Cesario
Disegno luci, audio, grafica: Marcello Radano
Elaborazioni musicali: Pasquale Ruocco
Costumi: Costantino Lombardo
Ufficio stampa: Roberta D’Agostino
Aiuto Regia: Maria Crispo
Assistenti alla Regia: Carlo Paolo Sepe, Noemi Iovino