Cari bambini: al Tin un urlo che squarcia il silenzio
Cari bambini uno spettacolo coraggioso e urgente di e con Salvatore Cataldo sarà di scena al Tin di Napoli giovedì 6 marzo alle 20:00.
Tutto trae origine e ruota attorno allo sguardo di un bambino: una figura universale, come la definisce l’autore, che si frammenta in molteplici prospettive tese verso differenti luoghi e culture, rendendo la rappresentanzione oggetto e soggetto di continuo cambiamento.
Una visione che sa essere generale e particolaristica insieme, ammantandosi di numerosi significati simbolici. Improvvisamente la realtà – attraverso il linguaggio della danza, come evidenzia il protagonista – cede il passo alla dimensione del sogno, a quella sana follia che sa uscire fuori dai recinti della razionalità, per esplorare altre dimensioni di senso e significato o per guardare alla propria realtà da una prospettiva diversa.
Ma il sogno ci ricorda anche quella dimensione temporale e spaziale di magia, gioco e di leggerezza cui i bambini di ogni parte del mondo avrebbero diritto.
Ecco perchè questo spettacolo itinerante – richiamando le parole del suo autore – diviene urlo di denuncia, che sa sovrastare il rumore della guerra e la frenesia di un mondo che ha perso sè stesso, ma anche squarciare il silenzio dell’indifferenza.
Ora lasciamo la parola a Salvatore Cataldo.
L’INTERVISTA
D. Un bambino è spettatore dell’orrore circostante che lo investe, ma anche protagonista di una possibilità di riscatto, espressa anche attraverso il ballo. Ci spieghi a quali simbolismi sei ricorso?
R. Il teatro è etimologigamente Thea-tron, luogo di visione. A teatro si vede meglio perché si crea li uno stato di attenzione tale che ogni elemento puo’ caricarsi di molteplici significati ed acquisire valore simbolico. I simboli presenti sono tanti, e per questo spettacolo cambiano di paese in paese perché la relazione tra significante e significato è spesso culturale. Il bambino però no, è universale. Ecco perché l’ ho scelto come titolo.
D. Come si legano realtà e fantasia al pari dei vari linguaggi che utilizzi? Ti sei ispirato alla realtà ma anche ad altre storie in cui viene raccontato l’orrore attraverso il filtro della fantasia?
R. Ho voluto ascoltare la mia follia. La follia è una forma di intelligenza che si manifesta per esempio nel sogno, e cioè quando la razionalità non la domina. Ho voluto parlare la lingua del sogno che processa la realtà in modo libero, più libero di creare nessi senza doversi giustificare. Se la ascoltiamo, puo’ dunque rivelarci tante verità… Tutto parte dunque da un reale accadimento, ma il sogno che ne deriva è il mio.
D. Il teatro è spazio di denuncia ma anche di poesia e di vita che ostinatamente resiste ed esiste. Come ci riesce secondo te?
R. Il Teatro ci riesce in quanto è incontro. È specchio. Potremmo dire che nella vita tutto lo è, ma a Teatro questa relazione è più intenzionale. A Teatro non solo si ha il coraggio di denunciare. Si ha anche quello di autodenunciarsi. Il Teatro avvicina dunque l’uomo alla relatività e alla coscienza.
D. Uno spettacolo che vibra attraverso varie lingue e diviene potente comunicazione tra detto, non detto e intuito, tra ragione ed emozioni. Come queste lingue lo trasformano e lo arricchiscono?
R. Le lingue trasformano lo spettacolo nella forma, ma il fine è di conservarne il significato. Inevitabilme te ogni lingua colora lo spettacolo di diverse sfumature non sempre traducibili… Un’ altra lingua è un altro punto di vista e a volte quello che si scopre da quell’ angolo è valido anche dagli altri. La lingua sul da dirsi e sul da tacersi, influisce sul ritmo e sull’ emozione, in primis quella del performer. Lo spettacolo è dunque in continuo cambiamento…