Faccere: critica feroce al patinato mondo dell’apparenza
Lo spettacolo Faccere di Massimo Andrei vede protagoniste Roberta Misticone e Titti Nuzzolese nel ruolo di Valentina e Rosaria.
Dopo il successo al Civico 14 di Caserta lo spettacolo tornerà in scena il prossimo 30 marzo al teatro Gelsomino; dal 4 al 6 aprile al Sancarluccio; il 12 e il 13 aprile alla sala Moliere di Pozzuoli.
Prodotto e organizzato da Mudra Arti dello Spettacolo, sotto la direzione artistica di Olimpia Panariello, Faccere si avvale di musiche originali firmate da Mariano Bellopede, costumi curati da Fabiana Amato e scenografie realizzate con la collaborazione del Biennio di Teatro ABANA.
Il ritmo è vorticosamente cinematografico. Le due protagoniste sono perfettamente coordinate nei loro schetch, a tratti grotteschi e iperbolici nella loro artificiosità, introdotti da un segnale sonoro che richiama un gingle pubblicitario.
“Faccere è stato un lavoro molto desiderato e ricercato da entrambe. Volevamo lavorare su uno stile e una cifra che ci mettessero alla prova e ci chiedessero lo sforzo di andare oltre – evidenziano Titti e Roberta –. La scrittura graffiante, leggera ed intelligente di Massimo Andrei ci ha offerto questa fantastica occasione ed è con la regia di Peppe Miale che il lavoro su di noi è ‘esploso’. Peppe ha creato una vera partitura musicale che ci incastra in questo gioco divertente e diabolico”.
Le due interpreti si muovono tra scena e retroscena, preparandosi ad affrontare le luci della ribalta sempre “in tiro”.
Il loro regno è quello dell’apparenza, delle facciata, rappresentato da un salone di bellezza tutto rosa, in piena stereotipia di genere. Il loro pubblico di fronte al quale si esibiscono ogni giorno – e nei cui confronti hanno sapienti modi da consumate imbonitrici – sono le clienti, vittime di inestetismi estetici e vuoti interiori.
“Tutte le persone vengono raccontate con l’ossessione della facciata, specchio di questi anni che tendono a coprire, confondere, mentire – continuano – . L’apparire come dogma. Oggi l’estetica, i social si sono sostituiti alla realtà, le persone fanno fatica ad uscire da questa trappola dove l’apparire si sta sostituendo all’essere. Ma non esiste nessuna crema e nessun siero miracoloso che possa curare lo spirito, l’anima delle persone“.
Se, infatti, all’apparenza le due consulenti di bellezza si mostrano empatiche e attente ai loro bisogni, alle spalle delle malcapitate rivelano inquietanti modi di fare ed espressioni facciali luciferine, non risparmiando urticanti parole al vetriolo.
Il luogo della “verità” è il retrobottega del negozio, che assume la funzione di retroscena, dove si consumano grandi tragedie e piccole meschinità e dove i vizi, il non detto e le fragilità prendono il sopravvento sulle virtù e l’apparente solidarietà di genere cede il passo a una sfrenata competizione che non risparmia veleni e colpi bassi.
Lo spettacolo è congegnato per alternare momenti di backstage e di “on stage“, attraverso sapienti giochi di luce, quasi che un occhio di bue con il suo fascio luminoso desse visibilità all’attrice di turno – e l’irrompere di segnali sonori rivelatori.
Se Vale sembrerebbe non avere crepe nella propria vita e nella propria autostima, Rosy è più insicura, dubbiosa e ancillare.
“Il mio personaggio, cioè Valentina – evidenzia Titti – l’ho trovato immediatamente vero. Una donna fragile incastrata nelle sue finte granitiche certezze, pronte a traballare alla prima scossa. Crede nel suo lavoro: pensa di essere una soluzione per il benessere degli altri, ma sa nel suo profondo che sotto sotto la vera vita è altra. È una vita che lei stessa non sa risolvere e per cui non possiede certezza alcuna. Questo la mette in crisi e la rimette su un piano di genuinità che, con tutti i suoi errori, mi provoca un grande senso di tenerezza“.
Dopo una fase di incomprensioni, che le vede antagoniste, le due donne capiranno che è ora di fare spazio a una sana solidarietà di genere, con il riconoscimento di una comune radice di fragilità e di femminilità.
“Il rapporto tra Valentina e Rosaria – raccontano le due attrici – è inizialmente forzato: sono colleghe, non si sono scelte. Ma poi succede qualcosa nel tempo e diventano una parte dell’altra. Entrambe per un bisogno di prendere dall’altra un’altra sè che manca o probabilmente perché riconoscono una parte di sé che hanno perso“.
Così decideranno di agire alla faccia di quegli uomini opportunisti, mediocri e narcisisti che le hanno sempre svalutate e hanno sempre disprezzato le loro qualità, le loro potenzialità e i loro sacrifici.
“Il rapporto con gli uomini del testo – ribadiscono – è un altro punto fondamentale di una progressiva e liberatoria presa di consapevolezza. Il marito di Valentina è raccontato come un uomo medio, patriarcale, che giudica il suo lavoro e pensa lei sia una ‘dipendente’ sia nel lavoro che nella vita. Per cui lei soffre, perché non si sente completata e stimata. L’altro è colui a cui inizialmente vengono attribuite tutte le possibilità di felicità e rinnovamento della loro esistenza”.
Ma, richiamando le parole di Titti, questa soluzione sarebbe troppo facile e infatti si rivela illusoria. Per cui il suo personaggio sente, ancora una volta, che la verità non è fuori ma è dentro di sè. E prima o poi bisogna farci i conti.
Roberta e Titti dominano la scena con un mood trascinante, ma sanno anche mostrare in controluce la facciata che si sgretola e le tante ferite che dolgono e che si traducono un una feroce critica sociale. Un’interpretazione riuscitissima in cui donne e uomini possono rispecchiarsi per riconoscersi.
Ph. Pino De Pascale

































